Di Pietro vuole arrestare Violante

La giornata politica è stata segnata ieri dalle intemperanze e dalle inopportune dichiarazioni di Antonio Di Pietro sconvolto e spiazzato dagli esponenti della sinistra e del Pd disposti a un confronto costruttivo col centrodestra sul tema non rinviabile della riforma della giustizia.
Di Pietro è un animale politico conservatore e la sua rabbia talebana si è concentrata soprattutto su Luciano Violante, colpevole di avere dichiarato in un’intervista al Giornale che l’opposizione ha il dovere storico e morale di confrontarsi con la maggioranza di centrodestra per arrivare a una riforma della giustizia che risponda alle aspettative e ai bisogni dei cittadini italiani. Della giustizia e dei cittadini a Di Pietro, maestro di gogna e di «carcerazione educativa», non interessa nulla, ma gli pesa la responsabilità di voler assicurare, sempre e comunque, l’ingiusta punizione a chiunque si avventura sulle strade dell’anticonformismo e dell’opposizione al pensiero unico giustizialista. Di Pietro è rigido e duro come uno stoccafisso e dal basso della sua collocazione impartisce lezioni e minacce a chiunque non la pensa come lui. Luciano Violante, chi è costui? E soprattutto, perché si fa intervistare dal Giornale?
Attenti, Di Pietro è un sedicente democratico, ma ritiene che con certi giornali non si debba mai parlare, con quelli che rappresentano l’opposizione critica al politicamente corretto. Il Giornale, in altre situazioni è stato scelto da Di Pietro per interviste e dichiarazioni, ma oggi è da considerarsi «out» per i sinceri antidemocratici.
La verità è che Antonio Di Pietro non ha nessuna idea della democrazia e della funzione che deve svolgere la libera stampa. Lui lancia i suoi anatemi e le personalità politiche vicine al partito che l’ex pm mantiene in condizione di sudditanza dovrebbero guardarsi dal fare o dire alcunché che irriti l’ex pm. Abituato a ottenere obbedienza col tintinnio delle manette. Può agitarsi quanto vuole, ma il Giornale non smetterà si svolgere il suo ruolo di attento informatore dell’attualità politica, dando spazio e voce anche agli esponenti dell’opposizione. Questa ispirazione liberale Antonio Di Pietro non può capirla, ma fino a quando non avrà conquistato il potere con una tornata sovversiva di girotondi in storiche e prestigiose piazze, dovrà subire il giogo della libertà, che consente a qualsiasi libero giornali di intervistare chiunque abbia voglia di parlate. Di Pietro è un mentitore, il Giornale ha realmente intervistato Luciano Violante e non un suo omonimo come vorrebbe la rancida ironia dell’ex pubblico ministero. Ma Violante non sta al gioco e a Di Pietro risponde seccamente con l’invito a riflettere prima di parlare.
Di Pietro è formalmente isolato dagli esponenti del Partito democratico che si dichiarano pronti a confrontarsi sulla riforma della giustizia, specie dopo che il guardasigilli Alfano ha dichiarato che si comincerà dal cambiamento del processo civile.
Da altri esponenti del Pd arrivano dichiarazioni favorevoli al dialogo e al confronto col centrodestra sui problemi della giustizia.
La volontà di aprire un dialogo sui temi della giustizia è stata espressa dai capigruppo del Pd Antonello Soro e Anna Finocchiaro e dal «ministro ombra» della giustizia Lanfranco Tenaglia. L’opposizione avverte di non poter disertare un’occasione storica, di non poter ignorare un bisogno di cambiamento che tutta la società italiana avverte.
Ma la parte più responsabile dell’opposizione non può ignorare che fra sue file s’ingrassa la conservazione retriva, decisa a mantenere in eterno l’esistente. Compresa la giustizia con le sue storture e le sue indicibili ingiustizie, con i suoi micidiali ritardi che si risolvono in autentiche vessazioni per i cittadini.
Oggi l’opposizione è a un bivio.

Deve decidersi se imbrancarsi con Di Pietro su un’illiberale deriva giustizialista o contribuire all’ammodernamento del Paese. Di Pietro sbraita, urla, demonizza giornali e protagonisti della vita politica, ma non è l’inviato del destino. È un ex pm gonfiato da una stagione di manette. L’attività politica è un’altra cosa.

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