Pinault, il Doge francese ha conquistato Venezia

Dopo tre anni di polemiche apre il nuovo museo del magnate parigino. Nel giorno della Biennale. La collezione si trova a Punta della Dogana, area cittadina abbandonata da un secolo

Pinault, il Doge francese 
ha conquistato Venezia

Era una zona acquitrinosa tra i due canali strategici di Venezia, il Canal Grande e il Canale della Giudecca, e proprio lì nel 1313 iniziarono i lavori di costruzione della Dogana da Mar, destinata a divenire per secoli il cuore dell’attività portuale della Serenissima, fino alla decadenza e all’abbandono nel Novecento. Settecento anni dopo, questo luogo carico di fascino e prestigio (alle sue spalle si alza la Chiesa della Salute) torna a vivere come grande centro di arte contemporanea che si inaugurerà il 6 giugno in contemporanea con la 53ª Biennale. Il nuovo percorso si avvia il 19 luglio 2006 quando la città di Venezia pubblica un bando di concorso per la creazione di un centro d’arte contemporanea proprio nei magazzini abbandonati di Punta della Dogana. Si delinea subito lo scontro fra due gruppi, ognuno con un proprio progetto: il comune di Venezia con il sindaco Cacciari che sostiene il magnate francese François Pinault (già nuovo proprietario di palazzo Grassi) con l’architetto giapponese Tadao Ando da una parte; la Regione Veneto con il governatore Galan che appoggia la prestigiosa Fondazione Solomon R. Guggenheim e il progetto dell’architetto iraniano Zaha Hadid dall’altra.

La commissione tecnica per la selezione, affiancata da un comitato di esperti presieduto da Achille Bonito Oliva, aveva salomonicamente giudicato pari i due gruppi, quando lo smaliziato Pinault è riuscito a «sdoganare» il suo progetto presentando una lista precisa di 141 opere d’arte che andranno a formare la dotazione permanente del nascente museo. La Guggenheim aveva messo a disposizione le sue opere, ma senza specificare. E così, dopo un restauro condotto a tempo di record, fra roventi polemiche e ripetuti allarmi della sovrintendenza, Pinault, nuovo «Doge» di Venezia, presenta ora la sua grande mostra «Mapping the studio» (titolo di un lavoro storico di Bruce Nauman) con toni trionfali: «L’immenso privilegio che Venezia mi ha concesso affidandomi la realizzazione di un centro d’arte contemporanea in un luogo simbolico quale è Punta della Dogana - ha dichiarato -, comporta una responsabilità formidabile, quella di raccogliere in questa città l’eredità di coloro che non hanno mai esitato a scardinare le tradizioni e trasgredire le mode per garantire libertà di parola all’arte del loro tempo». Ora che la febbre dell’inaugurazione è al culmine, polemiche e timori sembrano essersi placati.

Anche la sovrintendente per i Beni architettonici e paesaggistici del Veneto, Renata Codello, tira un respiro di sollievo: «Le difficoltà da affrontare per riqualificare una struttura di grande importanza come Punta della Dogana - dichiara - erano molte. Ma la collaborazione fra noi, la Fondazione Pinault e l’architetto Tadao Ando (che si è accostato all’edificio con grande umiltà) è stata fruttuosa. Anche le mie “angherie”, la mia continua attenzione, alla fine hanno dato buon frutto. Sono contenta di essere stata così determinata. Ora aspetto le critiche». Critiche inevitabili in una città dove appena tocchi un mattone qualcuno strilla. E molti hanno strillato anche per la sorte dei «masegni», gli antichi lastroni che si temeva andassero perduti. «I masegni sono stati puliti e ricollocati al loro posto. Ma molti avevano dimenticato che più della metà dei locali era pavimentata in terra battuta, solo la parte centrale era lastricata. Comunque adesso si percepisce molto bene il limite fra l’antico e l’architettura contemporanea che si incontrano in armonia e non in conflitto. Cosa che mi sembra abbastanza rara».

E adesso si guarda al futuro. La concessione di Punta della Dogana a Pinault durerà trent’anni. E poi? «Non spetta a me la risposta. Ma tutti i lavori, dalle vasche per l’acqua alta al tipo di climatizzazione, sono stati pensati per la lunga durata». Al settimo cielo è Francesco Bonami, con l’americana Alison M. Gingeras curatore di «Mapping the studio. Artists from François Pinault Collection». Il restauro è stato spettacoloso - dice - le opere saranno esposte a rotazione, per cui è stato creato uno spazio flessibile per ogni circostanza». E Pinault, il magnate, fresco sposo dell’attrice Salma Hayek, come si è comportato? «Lui è un collezionista che ascolta i curatori, abbiamo avuto mano libera qui come a Palazzo Grassi. In mostra ci saranno anche alcuni dei lavori di quella famosa lista dei 141 che gli ha fatto vincere la gara». Tra le opere più particolari? «Il Boy with a frog di Charles Ray - risponde Bonami - che verrà posto proprio sulla Punta.

Poi un’enorme natura morta di Luc Truymans, Rachel Whiteread con lo storico lavoro dei “cento spazi sotto le sedie”, una splendida installazione di Mike Kelley, Rudolf Stingel con una serie di lavori realizzati appositamente per la Dogana, una bellissima opera di Fischli & Weiss. In totale sessanta artisti, trecento opere».

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