Il pittore Mark Rothko espone a Roma supportato dalla giapponese Takeda

Che c'entra l'arte con la medicina? E si può convincere una persona a camminare di più, a smettere di fumare, a mangiare meglio, attraverso un dipinto, per di più di un autore pop, astrattista, complicato, introspettivo, un ebreo russo trasferito a New York, addirittura bollato come «maledetto» dopo la sua morte suicida? Takeda Italia, il colosso dell'industria farmaceutica giapponese, ne è convinta al punto non solo d'avere sponsorizzato la personale di Mark Rothko al Palazzo delle Esposizioni (a Roma, fino al 6 gennaio) ma di averne tratto sei delle sue tavole più belle per associarle ad altrettanti messaggi di sensibilizzazione sulle sindromi metaboliche. L'arte si fa mediatica, i diktat di cura e prevenzione abbandonano le austere sale d'attesa d'ambulatori della mutua e le corsie d'ospedale per farsi messaggi istantanei. «Siamo straconvinti - spiega Maurizio Castorina, presidente e amministratore delegato di Takeda - che esistano numerosi elementi di raccordo tra l'arte e la medicina. Entrambe trovano forza e ragione d'essere nella ricerca, nell'innovazione e nel continuo superamento dei limiti.

Con le opere di Rothko questo legame è apparso subito naturale, per la rigorosa attenzione agli elementi formali, per l'equilibrio, la profondità dei messaggi e, soprattutto, per la sfida alla semplificazione del complesso». Già nel 2006 Takeda abbinò alla mostra su Tamara de Lempicka una campagna di sensibilizzazione sul diabete.

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