Cosa abbiamo da temere da Gheddafi? Poco o niente in realtà, soprattutto dal punto di vista militare. Qualcuno magari ricorderà i due missili balistici Scud che il Colonnello (forse, la cosa non è mai stata davvero acclarata) contro una stazione per comunicazioni statunitense a Lampedusa. Tranquilli, quei missili non ci sono più. Come quasi certamente non ci sono più neanche le armi per la distruzione di massa, in particolare le munizioni all’iprite che furono smantellate dopo la «conversione» di Gheddafi nel 2004.
Dunque che resta? La Libia non ha più una marina da guerra, quindi sul mare non ci sono preoccupazioni, se non per chi volesse entrare nelle acque costiere libiche. Rimane il cielo.
Ma come ha finalmente ammesso il ministro degli esteri francese Alain Juppé, la tanto temuta aeronautica libica conta soltanto poche decine di aerei da combattimento e elicotteri ancora in grado di volare. E li sta utilizzando al massimo in queste settimane, sia pure con scarsi risultati. I velivoli sono portati in volo da piloti esperti, ma ogni giorno si consumano pezzi di ricambio e armamenti che non possono essere sostituiti. E il tasso di attrito è elevato, per incidenti, defezioni e per i centri della contraerea degli insorti, dovuti più che altro all’insipienza degli aviatori.
I pochi Mirage F.1 di produzione francese, i Sukhoi Su-22, i pochi Su-24 rappresentano lo standard tecnologico di quasi 30 anni fa e non sono davvero una minaccia credibile. Una volta pienamente attivata la no fly zone i piloti libici che cercassero di alzarsi in volo (sempre che gli aerei libici non siano distrutti al suolo) si trasformerebbero in suicidi, ancor peggio di quanto accade ai piloti serbi nel 1999.
Se anche qualche aereo riuscisse a superare la no fly zone e a puntare sull’Italia dovrebbe prima superare la invincibile armada navale con unità antiaeree che si sta schierando nel mediterraneo e poi la difesa aerea Nato che proteggerà l'Italia meridionale, come la Francia, isole incluse e gli altri Paesi alleati. «Bucare» un simile dispositivo, con aerei radar costantemente in volo, radar di sorveglianza a terra, caccia in pattugliamento avanzato, intercettori pronti al decollo e infine un buon numero di batterie missilistiche contraeree che potranno essere schierate a Sud, almeno a protezione degli obiettivi militari? Se un aereo libico superasse tutto questo potrebbe poi sganciare una manciata di bombe e non riuscirebbe a tornare indietro, sia per questione di carburante sia perché sarebbe braccato e distrutto in volo.
No, l’unico pericolo concreto è quello terroristico. Gheddafi ha già dimostrato in passato di saper organizzare e pagare terroristi capaci di colpire aerei e piazzare bombe. Però queste operazioni furono organizzate per tempo e attuate nello scenario pre Undici settembre. Oggi le cose sono profondamente cambiate, in meglio per la sicurezza interna occidentale.
E Gheddafi non ha avuto modo e tempo di preparare qualcosa, né dispone di «martiri kamikaze». Al Qaida per un po’ di milioni di dollari potrebbe magari dare una mano o trovare qualche «stringer » ma l’intelligence italiana e non ritiene queste ipotesi molto remote.
C’è poi naturalmente un’ultima freccia nella faretra del Colonnello, quella di utilizzare la «bomba immigrazione». Naturalmente questa forma di aggressione non ha alcuna valenza militare, ma ovviamente potrebbe creare seri problemi alle forze di polizia ed al ministero dell’Interno che si troverebbero ad affrontare un afflusso straordinariamente consistente di profughi, rifugiati e disperati, non più «drenato» dai controlli alle frontiere terrestre e marittime libiche.
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