Il poker "infame": i finiani vogliono pure la testa di Minzolini

Dopo Feltri, Sallusti e Belpietro nel mirino il direttore che dal Tg1 rilancia: "C’è chi spera in un governicchio"

Il poker "infame": i finiani vogliono pure la testa di Minzolini

Roma - È la forza dell’abitudine. Ovvio che, abituati a veder piazzati fratelli, compagne, cognati, madri e giornalisti graditi in Rai, si pensi anche di poter rimuovere a comando quelli sgraditi. La rivoluzione laica, liberale e volterriana di Gianfranco Fini, fosse per lui, inizierebbe così, con quattro licenziamenti in tronco, per lesa maestà, la sua ovviamente. Il futuro e la libertà di querelare e cacciare i presunti opinionisti servi, degli altri ovviamente, perché i propri (che abbondano) non hanno mai creato problemi alla libertà di stampa.
L’ultima battaglia liberale dei finiani, compreso il ministro Ronchi, è la stessa dei Di Pietro, dei Pedica e dei Pancho Pardi, tanto per farsi un’idea dell’evoluzione subita dagli ex missini recentemente folgorati dall’illuminismo. Fuori Minzolini dalla Rai, ancora più dopo l’editoriale di ieri («Il Paese deve sapere se c’è tra quelli che dicono di sostenere l’esecutivo, chi con infingimenti ed esasperanti trattative spera di trasformarlo in un governicchio da logorare nel tempo»), via dunque quel berlusconiano dal Tg1, liberté, égalité, fraternité. Manca solo un picchetto davanti a Viale Mazzini e un gioco di parole alla Travaglio sul cognome del nuovo infame, dopo gli infami che hanno ficcato il naso nella case al Montecarlo, nei magheggi sull’eredità immobiliare di An, nei magheggi del cognato di Fini che, per puro caso, ci è finito dentro con Ferrari fuori.
Perché prima di Minzolini, sempre per liberalità e sempre dopo opportuna querela, Fini ha chiesto la testa di Vittorio Feltri, di Alessandro Sallusti, di Maurizio Belpietro, direttori dei giornali infami che hanno indagato sulle strane vicende attorno al principato di Monaco. Semplice lavoro di inchiesta giornalistica, a cui peraltro Fini non ha mai risposto in modo chiaro, se per chiarezza non si intendono gli atti di citazione spediti ai giornali e firmato dal suo avvocato, Giulia Buongiorno, deputata e presidente della Commissione Giustizia della Camera, tanto per parlare di conflitti di interesse e dottori (o dottoresse) Stranamore.
Certo, da libertari dell’ultima ora qualche svarione è prevedibile, non c’è stato il tempo, negli ultimi mesi, per leggere e sottolineare tutto John Locke, Lo Spirito delle Leggi di Montesquieu, On liberty di John Stuart Mill e poi qualche pagina di Karl Popper. Nell’eclettismo culturale finiano, che è «ateo» ma cristiano, progressista ma di destra, patriottico ma globalista, si può tranquillamente essere anche liberali senza esserlo.
Ma qui è tutto l’idealismo nel nuovo inizio che parte azzopato e claudicante. Si esibisce la patente di liberalità illuminista ma si invocano licenziamenti per chi critica, si dichiara morto un partito perché espelle i dissidenti ma poi si cerca di espellere i dissidenti da giornali e telegiornali, si ammonisce la politica (ma i finiani dov’erano nel frattempo?) perché dimentica i giovani e il merito ma poi si imbucano mogli e parenti nel servizio pubblico, ci si fa beffe del partito carismatico-padronale ma si apparecchia un partitino che si avvia ad idolatrare Fini come un salvatore della patria, ci si improvvisa laici ma poi - da laici improvvisati - si sostiene l’urgenza dell’ora di islam nelle scuole invece dell’abolizione delle religioni a scuola, solo per sembrare uomini del ventunesimo secolo più presentabili, in società, del becero leghista.


Il giornalismo a schiena dritta, in campo finiano, è quello di Mentana che ha tramesso la diretta integrale del discorso finiano, anche se poi nell’intervista al Tg Fini ha storto la bocca quando la schiena dritta gli ha chiesto di Montecarlo, «ma è il direttore di Novella2000 o di un tg?». Una volta, in campo finiano, si leggeva Fascisti immaginari, firmato da Lanna e Rossi, il direttore di Farefuturo. Urge un volume 2 riveduto e aggiornato: Liberali inventati.

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