Gli accordi, l'uomo di Trump e il no di Netanyahu, cosa succede in Medio Oriente

Gli Stati Uniti sono impegnati senza sosta in missioni nella regione per porre fine al conflitto tra Israele e Hamas e riportare in vita i negoziati tra Riad e Tel Aviv. E mentre Netanyahu respinge le proposte americane emerge il ruolo giocato dal senatore repubblicano Lindsey Graham vicino a Donald Trump

Gli accordi, l'uomo di Trump e il no di Netanyahu, cosa succede in Medio Oriente
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Porre fine al conflitto a Gaza, ottenere il riconoscimento dello Stato palestinese da parte di Israele e riportare in vita gli accordi di Abramo normalizzando le relazioni tra Riad e Tel Aviv. È questa la mission impossible a cui stanno lavorando senza tregua gli Stati Uniti insieme ai partner europei e all’Arabia Saudita. Un’impresa resa difficile dal premier israeliano Benjamin Netanyahu il quale ieri ha ribadito la sua contrarietà alla formazione di un'entità territoriale palestinese in uno scenario postbellico.

Emerge comunque in queste ore che tra gli emissari americani inviati nella regione per fermare la guerra non ci sarebbe soltanto il segretario di Stato Usa Antony Blinken, alla quarta missione in Medio Oriente dagli attacchi di Hamas del 7 ottobre. Secondo l’Nbc News, infatti, il presidente Biden avrebbe fatto ricorso in via ufficiosa ad una vera e propria wild card per cercare di disinnescare una crisi che potrebbe affondare la sua campagna per la rielezione. Si tratta del senatore repubblicano Lindsey Graham che starebbe giocando un ruolo di primo piano in particolare nel tentativo di rianimare il dialogo tra Riad e Tel Aviv.

Prima della strage compiuta dal movimento islamista, Israele e l’Arabia Saudita erano ad un passo dal siglare un’intesa che avrebbe portato quest’ultima a normalizzare i rapporti con lo Stato ebraico, come già fatto a partire dal 2020 da Bahrain, Emirati Arabi Uniti, Marocco e Sudan, nella cornice degli accordi di Abramo. Tra le condizioni dettate dal principe ereditario Mohammed bin Salman per il riavvicinamento agli israeliani, oltre al riconoscimento di uno Stato palestinese, c’è però anche la firma di un accordo di sicurezza tra il regno saudita e gli Stati Uniti che dovrebbe essere approvato dal Senato americano con almeno 67 voti a favore. Di qui l’idea che coinvolgere un repubblicano, tra l’altro tra i più vicini a Donald Trump – ieri il senatore era tra i presenti al funerale della suocera del miliardario – potrebbe rivelarsi una mossa efficace. Tanto più che l’ex presidente sarebbe visto di buon occhio sia da Netanyahu che da bin Salman.

Graham avrebbe fatto visita in Arabia Saudita tre volte negli ultimi 12 mesi, l’ultima ad inizio gennaio quando il senatore della South Carolina è stato ricevuto da Mbs in una lussuosa tenda ad Al Ula precedendo persino la missione di Blinken nella stessa località. Il parlamentare americano ha inoltre incontrato Netanyahu dichiarando al termine del meeting rivolto al leader israeliano di essere concentrato “nel portare stabilità al tuo Paese e a questa regione poiché ritengo che l’obiettivo dell’Iran sia distruggere i vostri sforzi di riconciliazione con il mondo arabo”.

Nonostante il niet del premier israeliano Washington tira dritto. Fonti dell’amministrazione Biden riportate dalla Cnn minimizzano le dichiarazioni di Bibi sostenendo che “se le considerassimo come l’ultima parola non ci sarebbe stata l’assistenza umanitaria a Gaza e nessun ostaggio sarebbe stato rilasciato. Continueremo a lavorare verso il giusto risultato, in particolare su questioni su cui siamo fortemente in disaccordo”.

Non è chiaro quale parte potrà giocare a questo punto Graham nella partita mediorientale ma come ricorda Nadav Eyal, editorialista del quotidiano israeliano Yediyot Ahronot, “qualsiasi normalizzazione con Riad sarebbe una grande vittoria politica per Netanyahu nonché un’exit strategy”. E il senatore repubblicano potrebbe rivelarsi il facilitatore inaspettato per l'uscita dalla crisi.

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