Israele si è tolto i guanti e ha deciso di porre fine alla guerra simmetrica con Hezbollah, titola il Jerusalem Post a poche ore dall’attacco di Tel Aviv a Beirut che ha falcidiato una dozzina di miliziani di Radwan, l’unità d'élite del Partito di Dio, incluso il suo comandante Ibrahim Aqil. Il nuovo blitz ordinato dal premier Benjamin Netanyahu chiude una settimana nera per l’organizzazione terroristica ancora sotto choc per le esplosioni dei cercapersone e dei walkie talkie in dotazione ai suoi fedayn. E mentre ci si domanda quale sarà la prossima mossa dello Stato ebraico e se le forze di Tsahal varcheranno il confine libanese si fa strada l’ipotesi che il governo israeliano stia valutando di chiudere una volta per tutte la partita con il suo più grande nemico storico: l’Iran.
Che nelle ultime settimane Tel Aviv abbia alzato il tiro contro i suoi rivali nella regione è fuor di dubbio. Dopo l’uccisione del numero due di Hezbollah Fuad Shukr e del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, pochi giorni fa le forze speciali israeliane hanno condotto un raid in una base nei pressi della città siriana di Masyaf usata da Teheran per sviluppare missili e razzi da trasferire ai miliziani sciiti in Libano. Gli analisti hanno già accostato questa audace missione segreta in Siria a quella dei commando dello Stato ebraico che nel 1976 ad Entebbe in Uganda liberò gli oltre 200 israeliani presi in ostaggio a bordo di un aereo.
La detonazione dei pager dei membri di Hezbollah è stata poi paragonata all’attacco preventivo con il quale Israele nel 1967 neutralizzò la forza aerea egiziana, circostanza che permise in pochi giorni di prevalere su una coalizione di Stati arabi. È alla luce di tali eventi che Mark Dubowitz del centro studi Foundation for Defense of Democracies sostiene come Tel Aviv, dopo la debacle del 7 ottobre, stia ricostruendo la deterrenza “mattone dopo mattone, operazione dopo operazione”.
In questo contesto ad alta fluidità vari esperti dello Stato ebraico si interrogano se sia arrivato il momento di puntare all’Iran, il grande manovratore dei vari gruppi che dal Libano alla Striscia di Gaza, passando per lo Yemen, la Siria e l’Iraq praticano la strategia dei "mille piccoli tagli” contro Israele. Yair Ansbacher, analista nel campo della sicurezza, afferma che la guerra contro la Repubblica islamica sia necessaria per evitare la distruzione dello Stato ebraico. Se gli sforzi dei Paesi occidentali oggi non riescono a fermare gli ayatollah, spiega Ansbacher, immaginate quando Teheran si sarà dotata di armi nucleari. Per rendere ancora più efficace il suo ragionamento l’esperto ipotizza uno scenario in cui Hezbollah rapisca dei soldati israeliani e, forte dell’appoggio della Repubblica islamica, tenga in scacco lo Stato ebraico impedendo operazioni di soccorso sotto la minaccia di una risposta militare non convenzionale.
Dopo aver ricordato che il piano originale di Teheran di attaccare Israele simultaneamente su più fronti è fallito a causa dell’impazienza di Hamas, Ansbacher mette in guardia anche rispetto al possibile arrivo alla Casa Bianca di un presidente “ostile” agli interessi di Israele. La conclusione dell’analista è che questo sia dunque il momento migliore per colpire il regime degli ayatollah - “la testa della piovra”, per usare le sue parole - annichilendo i due centri di potere a Teheran e a Qom e provocandone così il suo collasso.
Di diverso avviso è il generale Itzhak Brik che sostiene come Israele non sia pronto ad una guerra regionale. Per il militare l’Iran e i suoi alleati in Medio Oriente “hanno 250mila missili, razzi e droni” puntati contro lo Stato ebraico e mentre gli Stati Uniti difficilmente entrerebbero in un conflitto che potrebbe farsi globale gli ayatollah potrebbero invece contare sul sostegno di Russia, Cina e Corea del Nord.
L’unica ricetta possibile per Brik, il quale critica i tagli alle forze armate approvati in passato e definisce inarrestabile il programma nucleare iraniano, è costruire un’alleanza strategica con l’Occidente e i Paesi arabi moderati che faccia da deterrente contro la Repubblica islamica e i suoi proxy.
Toccherà adesso al premier Netanyahu decidere se imbroccare la strada della forza bruta o quella della diplomazia. A giudicare dagli ultimi eventi una decisione che non promette nulla di buono potrebbe essere stata già presa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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