È il tempo dell’attesa senza fine nella Striscia di Gaza. L’operazione di terra delle forze israeliane, data per imminente sin dai giorni successivi alla strage compiuta da Hamas il 7 ottobre, sarebbe dovuta scattare venerdì scorso. Anche le finestre temporali concesse da Tsahal alla popolazione palestinese per abbandonare la parte settentrionale della Striscia lasciavano supporre che mancasse davvero poco all'ora X. Quali sono quindi i motivi che si nascondono dietro al ritardo nell’esecuzione del piano militare di Tel Aviv, volto a sradicare la presenza dei militanti islamisti autori del peggior attacco contro gli ebrei dai tempi dell’Olocausto?
Tralasciando motivi che potrebbero essere inquadrati all’interno della cosiddetta “psicologia della guerra”, adoperata per fiaccare il nemico e colpirlo in una condizione di debolezza, secondo il Jerusalem Post sono diversi i fattori che spiegherebbero quanto sta accadendo sul campo. A frenare il premier Benjamin Netanyahu pare sia il timore che Hezbollah stia attendendo il momento in cui i primi militari israeliani supereranno la linea di confine con la Striscia per scatenare la loro potenza di fuoco e aprire un secondo fronte al Nord.
La reazione del movimento sciita sostenuto dall’Iran e con base in Libano sino ad ora è apparsa contenuta anche se il numero degli attacchi contro Israele è in progressivo aumento. Per gli analisti del quotidiano israeliano la strategia di Hezbollah mirerebbe a indurre un falso senso di sicurezza nelle forze di Tsahal. Una strategia adoperata con successo da Hamas nei due anni che hanno preceduto l'attacco a sorpresa che, sfuggito ai radar dell’intelligence più sofisticata del Medio Oriente, ha causato la morte di oltre 1300 persone. Tel Aviv non vuole dunque farsi cogliere impreparata e avrebbe sfruttato gli ultimi giorni per rafforzare le difese in vista di un eventuale scontro in contemporanea e a tenaglia con i due movimenti filoiraniani.
L’Israel Defense Forces (IDF) non può permettersi, tra l'altro, di sovrastimare le proprie capacità di eseguire un’operazione che si annuncia complessa e imprevedibile e che si svilupperà non solo via terra ma anche via cielo e mare. Inoltre sarebbero stati segnalati problemi nella fornitura dell’equipaggiamento militare dovuti all'inaspettata mobilitazione di circa 300mila riservisti e sarebbe in corso un dibattito, ancora irrisolto, tra i politici e le forze armate dello Stato ebraico sul piano da attuare dopo la “neutralizzazione” di Hamas.
Il bilancio delle vittime tra la popolazione palestinese e i militari israeliani potrebbe farsi insostenibile una volta cominciata l’incursione di terra. I bombardamenti aerei dell’Idf avrebbero già fatto più di 2.800 morti nella Striscia di Gaza e a Tel Aviv ci si attende una crescente pressione da parte della comunità internazionale per fermare un’escalation che potrebbe coinvolgere l'intero Medio Oriente. Segnali in questo senso si sono visti in parte nella “diplomazia dello shuttle” di cui è stato protagonista il segretario di Stato americano Antony Blinken, che ha incontrato i principali leaders della regione e, soprattutto, nell’annuncio arrivato poche ore fa della visita in Israele, prevista per domani, di Joe Biden.
Il presidente Usa porterà un messaggio di sostegno e vicinanza allo Stato ebraico ma non è passata inosservata l’intervista alla Cbs trasmessa domenica sera in cui Biden ha dichiarato che "Israele commetterebbe un grande errore a occupare Gaza".
Fox News riporta come la Casa Bianca abbia chiesto a Netanyahu di ritardare l’operazione di terra, in modo da garantire l’evacuazione dei civili mentre secondo il New York Times la visita del presidente americano comporterà uno slittamento dei piani israeliani di almeno 24 ore. Nella Striscia di Gaza, insomma, il tempo dell'attesa sembra non essere ancora esaurito.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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