Le lezione di Luther King ignorata dal popolo woke

"C'e solo una razza: la razza umana"; "Quando ti guardo, non vedo il colore"; "Non credo nella razza". Ripetiamo, sarebbero frasi razziste, perché si rifiutano di considerare le persone come "esseri razziali"

Le lezione di Luther King ignorata dal popolo woke
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Ci sono molte ragioni dietro l'annuncio di Donald Trump di voler desecretare i dossier sugli omicidi di Jfk, di Robert Kennedy e di Martin Luther King: e una, in particolare, è possibile che sfugga agli europei che non siano ancora intrisi di quella cultura woke che ancora pervade gli Stati Uniti, dove - non ingannino i risultati delle Presidenziali questa cultura è viva e vegeta. Questa ragione, per farla breve, è che il riapprofondire e di conseguenza il rivalutare le icone dei Kennedy e di Luther King si traduce, oggigiorno, in un calcio nei denti tirato proprio a quella cultura woke (o politicamente corretta) che in Trump vede l'incarnazione del demonio. Perché? La risposta può sembrare incredibile: da una parte, oggi, i Kennedy sono visti come emblemi del suprematismo bianco (ma questo ora ci interessa poco) mentre Martin Luther King è silenziosamente visto come l'emblema di un razzismo modernizzato contro i neri. Avete letto bene.

Tutto risale all'inizio della sbornia woke del 2015, quando una guida al «Riconoscimento delle micro-aggressioni» fu pubblicata dall'Universita della California di Los Angeles (Ucla) e fu coniato il termine «daltonismo», inteso come micro-aggressione razziale. Subito, a ruota, si accodarono a questa visione le universitadel Wisconsin-Stevens Point e poi l'Università del Missouri, cui seguì un articolo pubblicato su The Atlantic (sempre nel 2015) secondo il quale, scrisse, «la negazione della razza lascia le persone mal preparate a funzionare o a prosperare in una societa diversificata». Chiaro? No, ed è comprensibile. Il citato «daltonismo», inteso come micro-aggressione razziale, significa cioè che le seguenti frasi anti-razziste, di lì in poi, furono viceversa considerate razziste: «C'e solo una razza: la razza umana»; «Quando ti guardo, non vedo il colore»; «Non credo nella razza». Ripetiamo, sarebbero frasi razziste, perché si rifiutano di considerare le persone come «esseri razziali». La visione «daltonista» giudicherebbe dunque razzista anche Martin Luther King, nel cui discorso più celebre, e mitizzato, c'è infatti questo passaggio: «Ho un sogno: che i miei quattro figli vivano un giorno in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della loro pelle, ma per il loro carattere». La visione woke e le sue caricature identitarie, invece, vogliono che i neri siano giudicati, valutati, rispettati e considerati proprio il funzione del colore della loro pelle.

Come ha notato Elisabeth Lasch-Quinn, una saggista esperta in questioni di razze, gli attivisti woke di oggi non si ispirano alla Dichiarazione d'indipendenza, secondo la quale a tutti gli uomini, ai neri come ai bianchi, sarebbero stati garantiti i diritti inalienabili della vita, della libertà e della ricerca della felicità, ma cercano di ricollegare la vera nascita degli Stati Uniti al 1619, anno in cui gli schiavi neri arrivarono per la prima volta nella Virginia coloniale. Negli Usa il «Progetto 1619» spadroneggia: soprattutto tra bianchi che, probabilmente, non hanno votato Donald Trump.

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