Alla Russia non interessa chi vincerà le elezioni americane. Le parole del portavoce del Cremlino Dmitri Peskov, riferite ieri dall'agenzia Novosti, non potrebbero essere più chiare. Peccato che risultino scarsamente credibili. Quasi in contemporanea, da Washington è risuonato l'allarme di tre agenzie Usa (National Intelligence, Fbi e Ufficio per la sicurezza informatica): attori legati alla Russia «stanno realizzando video e producendo articoli falsi per minare la legittimità delle elezioni, instillare paura e suggerire che gli americani sono pronti a usare la violenza».
Legata a questa dichiarazione è la storia, raccontata dalla Cnn, di un influencer pro-Trump con 650mila follower su X che ha pacificamente ammesso di aver ricevuto 100 dollari per pubblicare un video (falso) di propaganda. Nelle immagini un emigrato haitiano dichiarava di aver votato per ben due volte a favore di Kamala Harris. Dai documenti mostrati, all'identità dei protagonisti, dicono le autorità, nel video non c'è nulla di vero. A pagare i 100 dollari sarebbe stato Simon Boikov, attivista australiano di origine russa già noto perchè implicato in attività di disinformazione nel paese di residenza e a cui Putin ha di recente concesso la cittadinanza. La somma versata può sembrare irrisoria ma i singoli post prodotti dalla famosa fabbrica dei troll di San Pietroburgo, l'agenzia creata dal «cuoco» di Putin Evgenij Prigozhin venivano pagati ancora meno.
Più rilevanti le somme di cui si parla in un'altra recente inchiesta. Due dipendenti di Rt (ex Russia Today) l'emittente di propaganda di Mosca, sono stati messi sotto accusa dal Dipartimento di Giustizia Usa per aver trasferito 10 milioni di dollari a una start-up nel settore dei media. La società, con sede nel Tennessee, produceva e pubblicava sui principali social, video in inglese i cui contenuti riflettevano e amplificavano le posizioni di Mosca sulla realtà americana e internazionale. Nel caso specifico il Cremlino, con una certa faccia tosta, parlò di una «guerra, condotta dagli Usa, contro la libertà di pensiero».
Nel linguaggio dell'intelligence si chiamano «misure attive», in pratica attività di disinformazione, in cui prima l'Unione Sovietica e poi la Russia sono da sempre maestre indiscusse. Nella campagna elettorale del 2016 l'operato di Mosca è stato messo nero su bianco da un successivo report del Congresso di Washington. Quest'anno i troll del Cremlino sembrano più prudenti ma non hanno rinunciato a fare il loro gioco. Da Mosca, hanno detto le autorità Usa, sarebbero arrivati perfino due allarmi bomba relativi ad altrettanti seggi in Georgia.
Sulla scelta del candidato migliore per la Russia Putin ha scherzato in almeno un paio d'occasioni. A suo tempo disse di preferire Joe Biden. In realtà, secondo la quasi totalità degli osservatori del mondo ex sovietico, il preferito resta Donald Trump, che, da parte sua, sembra avere un debole per gli uomini «forti». Sul rapporto tra i due molto si è scritto e molto si è fantasticato. Agli atti rimangono le cronache (e le immagini) del primo incontro tra i due presidenti, a Helsinki nel 2018. Donald sembrò sotto tono e intimidito.
Nelle brevi dichiarazioni successive al colloquio privato, diede ragione su ogni punto al leader di Mosca, smentendo in pubblico i report dei servizi di sicurezza americani. Nelle relazioni tra Usa e Russia non si era mai visto niente del genere.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.