In un sistema mediatico in cui la libertà di pensiero spesso è garantire chi denigra, un mondo cupo di selvaggio-lucarellismo dove muore la legittima critica e vive la schiuma del pettegolezzo, accade questo. Che un giornalista, non serve il nome, promuova una petizione online contro la nomina di Mario Vattani, designato ambasciatore d'Italia a Singapore. Che adduca a motivo una «condotta violenta» di Vattani risalente a trent'anni prima, nonostante il diplomatico fosse stato assolto «per non aver commesso il fatto». E che oggi, condannato per diffamazione, rimestando diritto di cronaca e falsità, si rifiuta di vivere in un Paese dove si cancella ciò che lui chiama libertà di critica e invece è solo un'infamia.
Personalmente la cosa ci intristisce, come sempre quando la legge si intrufola nelle parole di un giornalista. Ma ci infastidisce il circo dei liberali a corrente politica alternata (alcune sentenze si accettano, altre si impugnano) che è insorto contro la condanna. Come l'associazione Articolo 21 («Così muore la libertà di espressione»). O l'Ordine dei giornalisti che ritiene l'azione legale di Vattani «intimidatoria». O Beppe Giulietti, ex deputato Pds-Ds, che chiama alle armi l'Anpi, i Berizzi, i Fratoianni, Fazio e Gad Lerner.
Gente non più credibile, né come democratici, né come antifascisti, ancora convinti che quando i giudici colpiscono la destra dimostrano la loro indipendenza e quando colpiscono la sinistra sono solo il braccio di un regime.E per quanto ci riguarda, massima solidarietà. Per una volta alla magistratura.
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