![La folle accusa a Trump: essere autoritarista](https://img.ilgcdn.com/sites/default/files/styles/xl/public/foto/2025/02/07/1738930134-aztb6xl-0mzhzbpw1vew-ansa.jpg?_=1739165607)
Di tutte le uscite che hanno caratterizzato l'esordio di Donald Trump alla Casa Bianca non ne condivido quasi nessuna. Eppure delle tante accuse che gli sono state rivolte quella meno azzeccata è esattamente quella che a sinistra è diventata un'ossessione: l'accusa di autoritarismo. Ora di follie il nuovo presidente ne ha dette non poche, a cominciare dall'idea di smontare l'attuale ordine mondiale senza averne uno di ricambio, visto che la sua visione della politica estera ricorda quella di un giocatore di Risiko che cambia il nome al golfo del Messico e si pappa con un tiro di dadi la Groenlandia. Meno male che ancora non si è accorto che esiste la Kamchatka. Detto questo tutto quello che ha fatto finora Trump era nei suoi poteri. Era nei suoi poteri promuovere una nuova politica sull'immigrazione, cambiare mezza CIA e mezza Fbi, lanciare una politica dei dazi contro il Canada, la Cina e l'Europa e financo assumere una posizione sulla guerra in Ucraina di cui si conosce il capo ma non la coda. Magari si tratta di fesserie e il sottoscritto in buona parte condivide il giudizio, ma finora The Donald non è mai andato oltre il solco delle prerogative che gli competono.
Proprio per questo la critica al suo «autoritarismo» è quella che meno coglie nel segno. E il paradosso, per alcuni versi assurdo, è che si tratta della stessa accusa che la sinistra nostrana rivolge a Giorgia Meloni. Alla fine del discorso, o meglio del «j' accuse», si tratti di Trump o della Meloni, per i loro oppositori il principale capo di imputazione, la madre di tutte le colpe è l'autoritarismo che li accomuna anche se entrambi sono arrivati al potere dopo libere elezioni.
Un atteggiamento che non aiuta l'opposizione negli Stati Uniti e in Italia e per alcuni versi apre scenari preoccupanti. Perché rivolgere a proprio piacimento l'accusa di autoritarismo anche verso governi che guidano paesi occidentali retti da sistemi che nessuno si sogna di non considerare democratici dà l'idea che la sinistra consideri la democrazia cosa sua, che nel suo immaginario siano democratici solo i governi che esprimono le sue idee e non quelle degli altri. E se si ha un concetto proprietario della democrazia e, soprattutto, se le si assegna un connotato di parte si rischia davvero di aprire la strada all'autoritarismo espellendo dall'alveo democratico chi la pensa diversamente che, a guardare il risultato delle ultime elezioni, è la maggioranza in entrambi i paesi.
Non è questione di poco conto perché se si conferisce a qualcuno la patente di anti-democratico, nei fatti, lo si autorizza ad uscire dalle regole della democrazia. Ci risiamo è l'invenzione di una nuova ideologia che serve a compattare il campo progressista, che parte dal rifiuto di tutti gli «ismi» (dal sovranismo al colonialismo, all'autoritarismo) ma intanto se ne ciba, perché nasce solo come risposta a quei rischi. E nel contempo si costruisce una realtà di parte che alla fine si scontra con quella vera. È ciò che è successo negli Stati Uniti con la politica «democratica» di imporre la cultura woke o LGBTQ+ nelle università, nei media, nelle legislazioni fino a creare una reazione uguale e contraria nell'opinione pubblica di cui si è avvantaggiato non poco Trump. Forse andrebbe riscoperta la categoria del «dubbio», rileggersi qualche pagina di Karl Popper, e rendersi conto che imporre la propria visione del mondo è un atteggiamento, a destra come a sinistra, ugualmente autoritario. È il principale insegnamento che ci viene dall'esperienza del secolo corto. Tantopiù se poi blaterando di democrazia finiamo per consegnarci alla dittatura delle minoranze.
Ecco perché a proposito di Trump chi non ne condivide le ragioni più di contestargli l'«autoritarismo» dovrebbe rimproverargli quell'assenza di «autorevolezza» che caratterizza chi demolisce il presente senza avere un'idea chiara di futuro. La politica del «fiato corto» di chi punta al tornaconto immediato senza pensare al domani, di chi con la politica dei dazi rischia di far saltare le relazioni tra Stati Uniti e Europa, cioè i capisaldi delle democrazie Occidente; di chi pensa di risolvere il problema delle migrazioni globali con le deportazioni dei sudamericani in America Latina o dei palestinesi in Arabia; di chi immemore dei danni combinati in Afghanistan rischia di ripetere gli stessi errori in Ucraina.
Appunto, meglio parlare di assenza di autorevolezza che di autoritarismo.
Anche perché se si continua con la storiella di «al lupo, al lupo» - con la Meloni e con Trump - poi quando si presenta davvero la «svolta autoritaria», parafrasando una fortunata espressione di Elly Schlein, si rischia di non vederla arrivare.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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