"Viola il trattato di Dublino". La Francia attacca l'Italia sui migranti:

In una lettera condivisa ieri, Parigi assieme ad altri sei governi europei punta il dito contro l'Italia e accusa Roma di non impedire i cosiddetti movimenti secondari dei migranti verso altri Paesi Ue

"Viola il trattato di Dublino". La Francia attacca l'Italia sui migranti:

È passato esattamente un mese dal consiglio europeo con cui i 27 Paesi Ue sembravano aver trovato una linea comune sull'immigrazione e, in particolare, sulla necessità di rafforzare controlli e rimpatri. Nell'arco di queste quattro settimane però, la compattezza sembra essere venuta meno. In una lettera condivisa ieri da sette ministri dell'Interno dell'Ue, tra cui quelli di Francia e Germania, è stato lamentato lo scarso impegno di alcuni governi a far rispettare il trattato di Dublino.

Il documento cioè con cui è stato sancito il principio dell'obbligo di accoglienza per il Paese di primo approdo e il divieto dei cosiddetti movimenti secondari. Gli spostamenti cioè dei migranti all'interno del territorio comunitario. Anche se l'Italia non è stata citata, il vero destinatario della lettera sembra essere proprio Palazzo Chigi.

La lettera dei Paesi Ue

La missiva è emersa a margine del consiglio europeo sugli affari interni, a cui il ministro dell'Interno italiano Matteo Piantedosi non era presente in quanto impegnato nel delicato consiglio dei ministri svoltosi a Cutro. Nella lettera il dito è stato puntato contro i movimenti secondari.

"Occorre un sistema funzionante e a prova di futuro - si legge nel documento - con criteri chiari e meccanismi equilibrati per determinare lo Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale. L'obiettivo del sistema riformato dovrebbe essere quello di scoraggiare la fuga o i movimenti migratori irregolari tra gli Stati che aderiscono al regolamento di Dublino".

Un modo quindi per dibadire come, allo stato attuale, non tutti si stanno adoperando adeguatamente per far rispettare il trattato di Dublino e il suo vero principio cardine. Quello cioè di evitare lo spostamento di migranti in altri Paesi. A firmare la lettera sono stati i ministri dell'Interno di Francia, Germania, Austria, Paesi Bassi, Danimarca, Belgio. Presente anche la firma del rappresentante della Svizzera, Paese extracomunitario ma aderente dal 2008 al trattato di Dublino.

Come detto, il vero destinatario della lettera sembra essere proprio Palazzo Chigi. Del resto, già da tempo Roma viene accusata di chiudere un occhio sui movimenti secondari. Un sospetto costantemente rilanciato negli anni passati soprattutto da Parigi e Berlino.

Parigi torna ad accusare Roma

Anche se l'Italia non è stata citata nella lettera, a mettere le cose in chiaro è stato il ministro dell'Interno francese Gérald Darmanin. "Si vede chiaramente che il regolamento Dublino è ormai molto complesso - ha dichiarato a margine del consiglio degli affari interni - difficilmente funziona più con alcuni Paesi, in particolare l'Italia".

In poche parole, secondo il governo francese è Roma a non far rispettare il trattato. E a permettere di conseguenza i movimenti secondari di migranti verso la Francia e verso gli altri Paesi firmatari della lettera. Il tempismo dell'accusa francese non è certo casuale. Le dichiarazioni di Darmanin sono arrivate in una fase delicata nei rapporti tra Eliseo e Palazzo Chigi.

A novembre, in occasione dello scontro sul caso Ocean Viking, Parigi si è rifiutata di dare seguito alle promesse di redistribuzione sul proprio territorio di parte dei migranti sbarcati in Italia. Adesso, denunciando il comportamento delle nostre autorità, è chiaro come l'Eliseo voglia in qualche modo "giustificare" la sua posizione contro la redistribuzione.

Niente migranti dall'Italia cioè se Roma non fa nulla per bloccare i movimenti secondari.

Non solo, ma le accuse del ministro francese hanno evidenziato la volontà del suo governo di ricostituire un fronte comune europeo guidato da Parigi e in grado, tra le altre cose, di mettere in cattiva luce l'esecutivo italiano. Un tentativo di isolamento per evitare che le istanze portate avanti da Palazzo Chigi possano far breccia in ambito comunitario.

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