
La buttano lì come un'ipotesi di lavoro, una reazione naturale o, addirittura, una propensione dell'animo. Di fronte ad un Donald Trump che perde interesse per il vecchio continente, che soffia sul fuoco della disgregazione della Ue, i nostalgici della via della Seta si chiedono perché l'Europa non dovrebbe volgere il proprio sguardo verso Est? Anche se Xi - per non irritare Mosca - ha declinato l'invito di Bruxelles a partecipare al summit dei 50 anni di relazioni diplomatiche, Pechino è ben disposta, visto che l'avvicinamento di Trump alla Russia e la guerra commerciale scatenata dalla nuova amministrazione americana contro la Cina e l'Europa ha già determinato rivolgimenti negli interessi commerciali: a gennaio e febbraio le esportazioni di Pechino verso Mosca sono diminuite dell'11% mentre l'attenzione è ora tutta concentrata su Bruxelles.
Il cambio di rotta nella bussola Xi qui da noi trova sicuramente terreno fertile. Specie a sinistra. «Il comportamento di Trump - osserva Alfredo D'Attorre della segreteria del Pd - ripropone in Europa le politiche in atto prima di Biden. Al di là del folklore sulla via della Seta non dimentichiamo che la Commissione Ue stava cavalcando l'idea di una zona di libero scambio con Pechino propugnata dalla Merkel che l'ex presidente Usa bloccò: ora ci sono tutte le ragioni per riproporla». Ancora più esplicito è un altro piddino, Stefano Graziano. «Trump - sintetizza - voleva staccare la Russia dalla Cina ma ora sta spingendo l'Europa verso il Dragone. Abbiamo rinunciato alla via della Seta per l'ombrello Nato, senza ombrello perché non dovremmo guardare ad Oriente».
Sembra il gioco del Risiko ma mai come ora è l'economia che detta le politiche e le alleanze internazionali. Il primo incontro per risolvere il conflitto ucraino si è svolto in Arabia Saudita tra Stati Uniti e Russia. Si sono seduti attorno ad un tavolo a Gedda i tre principali produttori di gas e petrolio per parlare del futuro di Kiev senza Kiev: più che di politica hanno discusso di geoenergia. E oggi, per dirne un'altra, i due primi punti dell'agenda della telefonata tra Trump e Putin riguarderanno centrali nucleari e terre rare.
Ecco perché la cartina di tornasole per capire anche da noi quali sono le alleanze internazionali è l'economia. Inutile stare appresso alle dispute lessicali dentro la maggioranza e l'opposizione in Parlamento sulla risoluzione sul riarmo europeo: ci si scontra sulle parole, non sui fatti. Più interessante è notare il risveglio nella nostra politica del partito della via della Seta come risposta a Trump.
Giuseppe Conte non ne parla ma accarezza ancora quel desiderio. Trump sarà pure un suo amico, ma a sinistra è un sogno proibito mentre la Cina no. E ha un trascorso: «Nessuno mi toglie della testa - ripete come una litania il celebrante del matrimonio tra Pd e 5stelle, Goffredo Bettini - che Conte abbia pagato a livello internazionale la sua adesione alla via della Seta». Un vero e proprio ambasciatore di Pechino in terra europea è un altro calibro da 90 della sinistra italiana, Massimo D'Alema, che dall'intervento di Xi al World Economic Forum di Davos del 2017 definisce ogni discorso del numero uno cinese «mirabile» senza contare che è stato il fondatore della «Silk Road Wines s.r.l.». Anche lui è tornato a sorridere pensando alla Cina. E sempre sugli eredi di Mao in funzione anti Trump punta Romano Prodi, collezionista di cattedre all'Università di Pechino: l'ultima nomina è avvenuta poche settimane fa come titolare della Agnelli Chair of Culture. Insomma, la Cina a sinistra è tornata di moda. Tant'è che l'ambasciatore Nelli Feroci, nominato commissario Ue dal governo Renzi, la definisce «un partner strategico».
Ora che qualcuno guardi a Pechino come risposta a Trump è nelle cose: un trattato indiano del IV secolo avanti Cristo già citava il proverbio «il nemico del mio nemico è mio amico». A Bruxelles non si nasconde chi persegue questa opzione: il commissario europeo per il Commercio, Maros Safcovic, andrà in missione a Pechino proprio alla fine di questo mese con questa idea in testa.
Ma proprio perché nessuno da noi può dire di no al riarmo europeo o negare l'appoggio all'Ucraina - a parte Conte e Salvini - sarà proprio l'apertura alla Cina il vero discrimine tra trumpiani e anti-trumpiani. «Sono menate, questi sono matti», insorge contro i cinesi nostrani uno dei più fidati collaboratori della Meloni, Giovanni Donzelli.
E Andrea De Giuseppe, il deputato di Fdi legato all'entourage di Donal Trump, è ancora più tranchant. «Sarebbe un suicidio! - spiega - a Washington si metterebbero ridere. Il problema posto da Trump all'Europa è uno solo: o si autoriforma, o esplode». Siamo solo agli inizi.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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