Accordo Usa-Ucraina. Tregua di 30 giorni e nuovi aiuti militari. Ora la palla a Putin

Ok anche per i minerali. Rubio: "Se i russi dicono no, sapremo chi non vuole la pace"

Accordo Usa-Ucraina. Tregua di 30 giorni e nuovi aiuti militari. Ora la palla a Putin
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Sì di Kiev alla proposta americana di 30 giorni di tregua, revoca immediata della sospensione degli aiuti militari e della condivisione delle informazioni di intelligence, intesa tra le due parti per concludere «il prima possibile» un accordo sullo sfruttamento delle risorse minerarie dell'Ucraina, minerali strategici in testa. Inoltre, si legge nel documento finale, «la delegazione ucraina ha ribadito che i partner europei saranno coinvolti nel processo di pace» tra Ucraina e Russia, anche se mancano ulteriori precisazioni sul contenuto di questo coinvolgimento: l'Ue comunque, ha già reagito positivamente alle notizie da Gedda, parlando di «passo verso una pace giusta» e si è detta pronta a «svolgere il suo ruolo, insieme con i propri partner, nei prossimi negoziati di pace».

La dichiarazione congiunta emessa dopo quasi nove ore di serrati colloqui al Ritz-Carlton Hotel di Gedda in Arabia Saudita sana, almeno apparentemente, la grave frattura che si era prodotta lo scorso 28 febbraio con la lite alla Casa Bianca tra i presidenti Volodymyr Zelensky e Donald Trump e rimanda la palla nel campo di Mosca.

«Adesso spero che i russi dicano sì all'offerta di un mese di tregua che gli ucraini hanno accettato ha detto al termine dei colloqui il segretario di Stato Usa Marco Rubio -. Se lo faranno, ritengo che avremo fatto un grande progresso. Se diranno di no, allora sfortunatamente sapremo chi ostacola la pace».

Trump, che ha detto che inviterà di nuovo Zelensky alla Casa Bianca, è stato più sfumato: «Sentirò Putin in settimana, spero che sia d'accordo con il piano e confido in un cessate il fuoco totale entro pochi giorni». Già domani funzionari americani dovrebbero incontrare la controparte russa. Più secco, invece, Volodymyr Zelensky (assente, così come Donald Trump, ai colloqui sauditi), che ha affermato che «ora gli Stati Uniti capiscono le nostre argomentazioni e devono convincere i russi ad accettare il cessate il fuoco».

La conclusione dell'incontro bilaterale di Gedda sembra complessivamente soddisfacente per Kiev, anche se bisogna tener conto che la delegazione inviata da Zelensky ha dovuto concedere moltissimo per recuperare il terreno perduto con il disastro del 28 febbraio: non solo una sofferta (anche se non ancora apposta) firmata su un contratto per lo sfruttamento delle «terre rare» ucraine che andrà a tutto vantaggio degli americani, ma anche la disponibilità di principio a cedere all'aggressore russo (si vedrà con quale formula) parte del territorio nazionale.

Zelensky, del resto, non aveva scelta davanti al rischio concreto di trovarsi abbandonato dal suo decisivo alleato. Per questo Andriy Yermak, il capo della delegazione ucraina a Gedda, si era fatto precedere da toni pragmatici e incoraggianti («Siamo pronti a tutto per raggiungere una pace giusta e duratura, un cessate il fuoco non è mai parso più vicino»), dimostrando disponibilità al dialogo e spirito di concretezza. Determinati, questo è ovvio, dalle crescenti pressioni esercitate sulla sola parte ucraina da Donald Trump.

Il punto chiave per gli ucraini rimane quello delle garanzie di sicurezza che si aspettano dagli americani in cambio delle loro dolorose concessioni.

Una cosa le pressioni seguite al disastro del 28 febbraio hanno modificato nell'atteggiamento di Kiev: mentre prima pretendevano garanzie prima di firmare un'intesa, ora sono disposti alla sequenza opposta. Significa, chiaramente, assumersi un grosso rischio. Qualcosa hanno ottenuto, ma ora starà a Putin decidere se accettare una tregua che certamente non gradisce.

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