Accusato di blasfemia, a 15 anni si taglia la mano

Il ragazzino ha deciso di autopunirsi. E ora il suo villaggio lo venera

Accusato di blasfemia, a 15 anni si taglia la mano

«Perché dovrei essere addolorato? Perché dovrei soffrire? La mano che si è alzata contro il profeta Maometto doveva essere tagliata». Anwar Ali, musulmano pakistano di appena 15 anni, parla della propria mano destra, quella che si è mozzato pochi giorni fa con un macchinario per falciare l'erba. «Dovevo fare ammenda», spiega. Ecco perché, senza emettere un grido, l'ha raccolta da terra e l'ha portata su un piatto all'imam della moschea che dista solo 100 metri da casa sua.L'11 gennaio, tutti stavano celebrando la nascita del profeta Maometto nella moschea del suo piccolo villaggio di Khanqah, nel nordest del Punjab, la regione più popolosa del Pakistan e la più conosciuta per i continui casi di integralismo islamico. Durante la preghiera l'imam ha chiesto: «Chi tra voi è un seguace di Maometto?». Più di cento mani si sono alzate. Poi ancora: «Chi tra voi non crede negli insegnamenti del profeta?». Una sola mano si è levata. Quella di Anwar, che aveva capito male. L'imam si è subito girato verso di lui, accusandolo di blasfemia. Ecco perché il 15enne è corso a casa e ha compiuto l'estremo «atto di devozione». Quando è rientrato in moschea per presentare la mano mozzata all'imam, nessuno ha fatto una piega: «Chi mi ha visto non si è stupito», ha raccontato Anwar alla Bbc. «Solo qualcuno mi ha preso per portarmi in ospedale prima che svenissi».L'imam della moschea è stato arrestato con l'accusa di incitamento all'odio ma la polizia ha dovuto rilasciarlo davanti alle proteste di tutto il villaggio. «Non ha fatto niente di male e non deve essere punito», ha dichiarato Muhammad Ghafoor, padre del mutilato. La sua famiglia è poverissima, non ha neanche i soldi per pagare le cure, ma è felice: «Sono orgoglioso di lui. Siamo fortunati ad avere un figlio che ama così tanto il profeta. Saremo certamente ricompensati da Dio nella vita eterna». Ora Anwar è diventato l'eroe del villaggio e molti abitanti si recano a trovarlo come in pellegrinaggio. Farooq è uno di loro e piange mentre parla: «Ho sentito dire che qui abita un ragazzo che ha sacrificato la propria mano per amore del nostro Profeta. Sono venuto per rendergli omaggio».La punizione che Anwar si è autoinflitto è severa ma poteva andargli molto peggio. In Pakistan pochi reati sono gravi come quello di blasfemia, che prevede la pena di morte fin da quando è stato introdotto nel 1986 dal dittatore Zia ul-Haq. Dal 1987 al 2014, secondo i dati raccolti dalla rete di ong pakistane Awaz-e-Haq Itehad, sono 1.438 le persone accusate. A partire dal 1990, 60 persone sono state uccise in via extragiudiziale dopo essere state tacciate di blasfemia, 20 di queste per mano di poliziotti, o mentre erano in custodia, e 19 da parte della folla. Le accuse sono spesso rivolte in modo strumentale, per regolare conti in sospeso, e in un caso su due riguardano membri delle minoranze religiose. Da anni i cristiani chiedono che la legge venga cambiata, soprattutto dopo che sono stati dimostrati gli abusi: oltre l'80 per cento dei presunti responsabili, infatti, viene riconosciuto innocente.Arrivare a processo però non è così semplice. Shama e Shehzad, coppia cristiana con quattro figli del distretto di Kusur, sono stati gettati in un forno e bruciati vivi nel 2014 da una folla di musulmani aizzati dagli imam locali. I cristiani, accusati falsamente di blasfemia, non avevano voluto pentirsi e convertirsi all'islam. Le ingiustizie non riguardano solo le minoranze.

Per aver chiesto di modificare la «legge nera», Salman Taseer, ex governatore musulmano del Punjab, è stato assassinato nel 2011 da una delle sue guardie del corpo, Mumtaz Qadri. Oggi Qadri è considerato un eroe dell'islam, proprio come il piccolo Anwar, e gli è stata intitolata una moschea alle porte della capitale Islamabad.

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