Il rito delle consultazioni è iniziato. Sinistra e affini cercano invano di piazzare ostacoli lungo il cammino che conduce Giorgia Meloni a Palazzo Chigi. Il terreno non è minato ma il Pd, il Terzo Polo, specie per mezzo delle parole di Carlo Calenda, e il Movimento 5 Stelle, che certo non si è mai distinto per atlantismo e europeismo, ci provano lo stesso. L'aria che tira si percepisce nell'immediato, nonostante il ritmo istituzionale proceda con velocità. Nessun colloquio dura più di mezz'ora. Soltanto il Pd, in chiusura di giornata, sfora, per così dire, le tempistiche degli altri.
Il presidente del Senato Ignazio La Russa e quello della Camera Lorenzo Fontana condividono la «cordialità» del summit col capo dello Stato e non aggiungono altro. I dem, prima ancora di essere ricevuti, iniziano con le strumentalizzazioni: «Scarsa credibilità a livello internazionale, visto anche quanto accaduto nelle ultime ore - dice a Il Giornale la capogruppo al Senato Simona Malpezzi, riferendosi ai «problemi» che la maggioranza di centrodestra avrebbe -, e una forza insufficiente per affrontare le gravi emergenze del Paese, a partire dalla crisi energetica e da quella economica».
Il segretario Pd, dopo aver incontrato il presidente della Repubblica, premette tuttavia un punto essenziale: «La maggioranza in Parlamento ha tutto il diritto di governare». Poi esprime «grande preoccupazione per quello che è successo nei giorni scorsi, dove le ambiguità sono cresciute». L'attacco continua subito dopo. Per Letta, le «parole» del presidente Silvio Berlusconi, ma anche quelle del presidente Fontana, rappresentano un «campanello d'allarme». L'ex premier parla di «vulnus gravissimo» in relazione alla vicenda che ha interessato gli audio rubati, e fa riferimento anche agli applausi dell'assemblea degli eletti azzurri.
Carlo Calenda, se possibile, riesce a superare il Pd nell'offensiva: «Abbiamo segnalato la nostra viva preoccupazione per quanto accaduto ieri - afferma all'uscita dalla consultazione con Mattarella -, c'è la sensazione di traballare sulla linea di politica estera italiana». Il leader di Azione afferma di non aver «fatto nomi» a Mattarella ma poi li fa tanto sui social quanto ai cronisti: «Le parole di Berlusconi confermano che Forza Italia è un partito inaffidabile e chiaramente schierato con la Russia. Il Ppe dovrebbe prendere posizione e Antonio Tajani non dovrebbe diventare ministro degli Esteri». Il terzopolista critica persino il presidente del Parlamento europeo: «Intervento fuori luogo», dichiara rispetto alla presa di posizione di Roberta Metsola in favore di Forza Italia.
È l'ultima trappola dell'opposizione, l'ultimo tentativo di frapporsi al responso delle urne, oltre che alla realtà. Curioso notare come i toni piddini e quelli calendiani si assomiglino. Il deputato dem Enrico Borghi osserva al Giornale che la «collocazione internazionale», sulla quale il centrodestra non ha però mai avuto dubbi, è «dirimente». L'onorevole Lia Quartapelle, responsabile Europa, Affari internazionali e Cooperazione allo sviluppo della segreteria di Letta, segue il coro: «Certo che per noi è dirimente. Vogliamo capire se la maggioranza è davvero ancorata all'atlantismo o se è composta da un partito che alla prima folata di vento è disposto a spostare l'asse da un'altra parte», ci fa presente. Nicola Fratoianni, segretario della Sinistra italiana, va al Quirinale con la spilla della campagna elettorale di Lula in Brasile. Angelo Bonelli, sempre per il gruppo Verdi e Sinistra, vira sul clima e sulla transizione ecologica.
Giuseppe Conte, leader grillino, esprime «sconcerto» per quelle che definisce «divisioni» nel centrodestra e «forte perplessità» sull'affidare la Farnesina «a un'esponente di Forza Italia». Un paradosso ideologico, considerato l'autore della riflessione, con tanto di auspicio che il prossimo governo sia «atlantista» e «europeista».
Poi l'ex «avvocato degli italiani» sostiene che all'Ucraina servano «negoziati» e non «armi», dimostrando, se ce ne fosse ancora bisogno, di avere una concezione parecchio difforme da quella di chi ha sempre votato in Parlamento per l'invio di armi a Kiev come Forza Italia. È l'ultimo colpo dell'opposizione che contro il Cav e Forza Italia ritrova l'unità perduta. Anche questa volta è un colpo a vuoto e destinato a non avere effetti.
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