
La via italiana alla lotta all'immigrazione prende piede in Europa, il modello Albania fa da apripista per i return hubs extra Ue dove trattenere anche per 18 mesi i clandestini senza permesso di soggiorno già presenti sul territorio italiano con un provvedimento di espulsione sul groppone che rimangano liberamente in circolazione perché non c'è posto nei Cpr, ma la sinistra si ostina a parlare di fallimento, in attesa del decreto del governo sul riordino degli hotspot di Shengjing e Gjader previsto già venerdì in Consiglio dei ministri.
Ad anticipare la svolta sui centri che oggi servono per valutare le domande di asilo è il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi (foto). «La trasformazione in Cpr si farà senza perdere l'originaria funzione», visto che «l'effetto deterrenza del protocollo con l'Albania è comunque accresciuto», lo si vede dall'aumento dei rimpatri, salito del 35% rispetto all'anno scorso. «Decreto venerdì? Non c'è la volontà di accelerare», chiarisce il ministro in serata».
Per aggiornare la destinazione d'uso degli hotspot albanesi deputati alla valutazione delle domande d'asilo per i migranti maschi, maggiorenni e in buona salute provenienti dai «Paesi sicuri» con procedure accelerate per il rimpatrio (vanificate dalla giurisprudenza creativa delle toghe più ideologiche) in Cpr per il rimpatrio di chi non ha diritto a restare in Italia servirà un decreto: «La struttura è già predisposta per questa funzione», dice. C'è un Cpr da 144 posti, accanto ad un centro per richiedenti asilo da 880 posti e un penitenziario.
Il costo a regime dovrebbe essere di 200 milioni di euro all'anno per cinque anni, a fronte di un costo per l'accoglienza paria a cinque volte tanto, eppure la sinistra insiste a parlare di sprechi, senza valutare l'impatto sull'ordine pubblico che ha la mancata integrazione. «L'Albania potrebbe avere un ruolo per rafforzare il sistema per rimpatriare i migranti irregolari che non hanno diritto a rimanere in Italia, soggetti che altrimenti finiscono per rendere le nostre città meno sicure», spiega il titolare del Viminale, tanto che secondo i dati dello stesso ministero un clandestino delinque 50 volte più di uno straniero regolare.
L'originaria funzione dei centri sarà mantenuta e l'effetto deterrenza è comunque accresciuto dal fatto che aumentiamo i rimpatri», spiega il ministro. Tanto che gli sbarchi sono decisamente in calo: -17% rispetto al 2024, un dato a sua volta pari al 58% in meno rispetto al 2023, i cui dati sono inferiori del 37% sul 2022. Sui «Paesi sicuri» presto dovrebbe arrivare una lista Ue che potrebbe anticipare o rafforzare la decisione della Corte di Giustizia europea che prima dell'estate deciderà sui ricorsi dell'Italia contro i mancati rimpatri decisi dai giudici italiani delle Sezioni immigrazione e delle Corti d'Appello. Dopo mesi di lavoro le strutture sono state aperte lo scorso ottobre, ma i tre trasferimenti di migranti - fatti ad ottobre, novembre e gennaio - si sono conclusi con esito analogo: i richiedenti asilo sono stati portati in Italia. Colpa di una interpretazione della sentenza della Corte europea di giustizia del 4 ottobre scorso sui «Paesi sicuri» che entro l'estate potrebbe essere definitivamente chiarita, dando ragione all'Italia.
«I rimpatri sono un tema che si sta affermandosi nel dibattito politico in tutto il mondo, anche oltreoceano. A noi, oramai, lo chiede l'Europa. Finalmente. Dovremmo esserne tutti contenti», ribadisce il ministro. Anche la Gran Bretagna sogna di ricostruire il «modello Albania», per rimpatriare i migranti che continuano a sbarcare illegalmente sull'isola attraverso piccole imbarcazioni che attraversano la Manica fra le coste francesi e quelle inglesi con l'aiuto di bande di trafficanti o scafisti. Piantedosi ammette che «Francia e Germania appoggiano l'Italia» alla Corte di giustizia Ue.
A cantare fuori dal coro è tutta l'opposizione, con il segretario Pd Elly Schlein tra i più duri: «Giorgia Meloni dovrebbe fermarsi e chiedere scusa per aver sperperato così tante risorse pubbliche in un protocollo disumano, che calpesta i diritti fondamentali e che è fallito prima ancora di cominciare».
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