Roma - Il decreto dignità frena un mercato del lavoro che aveva appena faticosamente ripreso a camminare. Il mondo delle imprese lancia un grido d'allarme e boccia l'approccio «punitivo» del provvedimento appena varato dal governo che piomba come «un macigno sulla ripresa». I cahiers de doléances delle aziende si aprono con la voce di Confindustria che definisce la scelta del ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, un «segnale molto negativo per le imprese». Non c'è nulla da salvare perché, scrive Confindustria, «mentre i dati Istat raccontano un mercato del lavoro in crescita, il decreto innesta la retromarcia rispetto ad alcune innovazioni che hanno contribuito a quella crescita». Il risultato? «Meno lavoro, non meno precarietà». E già ora tocca alle imprese «pagare il prezzo di un'interminabile corsa elettorale all'interno della maggioranza». Sono gravi le responsabilità di una politica che crea «i presupposti per dividere gli attori del mercato del lavoro, col rischio di riproporre vecchie contrapposizioni», ammonisce l'associazione guidata da Vincenzo Boccia.
E se è vero che per attrarre investimenti, interni ed esteri, servono nuove regole è altrettanto vero che quelle scritte nel decreto Dignità sono tutte sbagliate e rischiano di disincentivare gli investimenti. È giusto colpire «i comportamenti opportunistici di chi assume un impegno con lo Stato e poi non lo mantiene» ma non lo è, invece, «disegnare regole punitive». Il quadro delle regole nel quale devono operare le imprese italiane diviene così «più incerto ed imprevedibile: l'esatto contrario delle finalità di semplificazione e snellimento burocratico dichiarate dal nuovo Governo».
Sferzante anche il commento di Sergio Dompè, presidente dell'omonimo gruppo farmaceutico. «Meglio avere un milione di posti in più che non avere più occupazione e avere gli altri più tutelati - dice Dompè - . La tutela vera oggi deve averla chi non ha un lavoro». L'imprenditore teme la radicalizzazione di un confronto che nella realtà non c'è: «Non c'è un Paese di Confindustria e uno non di Confindustria, ma un Paese solo». Duro anche Matteo Zoppas, che definisce il decreto «un cappio al collo per le aziende». Il presidente di Confindustria Veneto ammonisce: «Non siamo ancora usciti dalla crisi e vi è un numero enorme di aziende in bilico che con questo decreto avranno un cappio al collo, sarà solo questione di tempo». Un errore per Zoppas «aumentare il costo dei contratti a termine, irrigidendo le regole, e riaccendere la spirale dei contenziosi. Il risultato sarà di avere meno lavoro, non meno precarietà». La soluzione, suggerisce, sarebbe semmai «la riduzione del cuneo fiscale». Infine anche Zoppas ritiene davvero difficile «distinguere per decreto le imprese in crisi dai furbetti e opportunisti». Insorge inoltre il settore del turismo e della ristorazione.
E contro il divieto per la pubblicità sul gioco d'azzardo insorge il
mondo del calcio. La Lega Serie A spiega che «impedire di investire in promozione nel nostro Paese porterà svantaggi concorrenziali ai club italiani, dirottando all'estero i budget pubblicitari destinati alle nostre squadre».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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