Inutile girarci intorno. La preoccupazione ha ormai raggiunto il livello di guardia anche da un punto di vista economico. Il fatto è che fondi e veicoli finanziari dello Stato libico, ormai in preda al caos più totale sotto la pressione dell'Isis, vantano ancora oggi partecipazioni di non poco conto in società italiane o comunque operanti nel Belpaese. Non si sa fino a che punto se ne abbia la consapevolezza da parte del governo e della politica in generale, ma la situazione è spinosa. Per averne una prova basta riflettere sui settori coinvolti: banche, difesa, energia e reti di telecomunicazione. Nel «mazzo», a ben vedere, ci sono quindi settori che possono essere definiti strategici. Si prenda Unicredit, la banca italiana più internazionalizzata. Il suo quinto azionista in ordine di grandezza, con il 2,64%, è la Central Bank of Libya. Quota alla quale si aggiunge uno 0,28% attualmente in pancia alla Libyan Foreign Bank. Complessivamente, quindi, parliamo di un 2,92%. Una partecipazione pesante, che mette qualche apprensione all'istituto guidato da Federico Ghizzoni. Per carità, le autorità italiane (a partire da Bankitalia) hanno tutti i poteri d'intervento necessari per «sterilizzare» eventuali effetti indesiderati di queste posizioni. Ma è chiaro che la polveriera libica non fa dormire sonni tranquilli. Poi c'è la Lia (Libyan Investment Authority), il braccio finanziario della Libia che vanta una partecipazione rilevante del 2,01% in Finmeccanica, il colosso della difesa guidato dall'amministratore delegato Mauro Moretti e controllato dal ministero dell'economia con oltre il 30% del capitale.
Tra le fette di torta più grandi, però, spicca sicuramente il 14,78% che la Lptic (Libyan Post Telecommunications Information Technology Company) detiene attraverso la lussemburghese Bousval Sa all'interno di Retelit, altra società quotata a piazza Affari che si occupa di telecomunicazioni gestendo in Italia 7.700 chilometri in fibra ottica e collegando 9 reti metropolitane e ben 18 data center. Insomma, asset a dir poco sensibili. E certo non può non suonare un campanello d'allarme se si considera che il primo azionista di Retelit riporta a uno Stato tenuto sotto scacco dall'Isis. E che dire di Tamoil Italia? La società di stoccaggio e distribuzione di prodotti petroliferi in Italia ha una quota di mercato del 6,7% e un fatturato consolidato di 5,2 miliardi di euro: la distribuzione avviene attraverso 1.600 stazioni di servizio, di cui 68 autostradali.
Ebbene, attraverso la holding olandese Oilinvest, la Tamoil fa capo alla Lia, il braccio finanziario dello Stato libico. Un panorama piuttosto ricco, quindi, che giustifica l'apprensione che in questi giorni sta serpeggiando tra manager pubblici e privati delle società coinvolte.
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