Anche Renault nella bufera: sospetto di emissioni taroccate

Parigi fa subito quadrato col ministro dell'Ambiente, Royal: «Nessuna frode, solo uno sforamento delle norme sul CO2». La tempesta scatenata dai sindacati

Valerio BoniNon c'è pace per le industrie automobilistiche. Dopo quanto accaduto con Volkswagen appariva scontato che nessuna delle grandi Case mondiali fosse al sicuro. Se è vero, come è vero, che i consumi rilevati in fase di omologazione sono ben distanti da quelli reali, che ogni automobilista può verificare nella guida quotidiana, è evidente che nessuno dei motori attualmente in circolazione può fornire le prestazioni promesse, con emissioni da fantascienza. Ieri è toccato a Renault passare una giornata di terrore sull'onda della notizia del calo del 45% di vendite in Russia. Ma più di quella notizia ha pesato il semplice sospetto che anche i francesi avessero modificato i software di gestione per rientrare con facilità entro i limiti imposti dalle omologazioni.Tutto è partito dall'annuncio del sequestro di un computer, avvenuto il 7 gennaio, da parte di agenti del governo francese nel centro di Lardy, dove Renault effettua i test sulle emissioni. La notizia ha avuto effetti immediati in Borsa per tutto il comparto automobilistico. Il titolo della Casa francese è arrivato a perdere fino al 20% a metà mattina, per poi chiudere in calo del 10,28 per cento. Ma la tendenza al ribasso non ha risparmiato nessuno, a cominciare da Bmw, senza trascurare le industrie dell'indotto come Michelin e Continental.In realtà, l'operazione di sequestro rientrava nel piano dell'indagine avviata dalla commissione tecnica affidata al ministro dell'Ambiente Ségolène Royal, già candidata alla carica di presidente della Repubblica nel 2007. La stessa Royal si è presto attivata per portare alla giusta dimensione il caso, dichiarando che «gli azionisti e i dipendenti possono essere rassicurati, non è emersa alcuna frode in Renault». È comunque emerso uno sforamento delle norme sulle emissioni di CO2 e di ossido di azoto, ma non c'è stato alcun tentativo di superare i test in modo artefatto. Dopo il dieselgate tedesco, ormai, basta un semplice «si dice» per generare un vero terremoto. In questo caso è preoccupante il fatto che lo tsunami sia partito da un volantino della Cgt, la Confédération générale du travail, prima organizzazione sindacale francese in termini di popolarità, e seconda per iscritti. Visti i rapporti tra il sindacato e Renault, nel cui capitale è peraltro presente una quota dello Stato, sembra da escludere che la notizia sia stata diffusa con l'obiettivo di creare un danno o per favorire una qualche rivendicazione. Ma è più probabile la tesi dell'ingenuità. Tuttavia, in Italia il leader della Fiom Maurizio Landini ha approfittato dell'occasione per far sentire dopo mesi la sua voce puntando il dito verso tutti i costruttori che hanno chiesto all'Europa di spostare la revisione dei termini sui motori diesel dal 2016 al 2019, per il grave ritardo sullo sviluppo delle tecnologie pulite e sostenibili.Se però ci si trova in questa situazione, il problema dipende anche dal fatto di avere accettato limiti di emissioni difficili da raggiungere su strada. Possibili in fase di omologazione, con trucchi più o meno leciti, ma irripetibili nella guida quotidiana.

Ed è curioso che a pagare sia stata ieri l'industria europea che più di altre ha avviato la sperimentazione e la produzione in grande serie di veicoli elettrici, alternativi ai motori classici, oggi protagonisti di vari scandali.

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