L'attacco è già partito, ancora più frontale di quanto si potesse prevedere: il fallimento dei referendum sulla giustizia ridà fiato alle correnti organizzate della magistratura nella loro battaglia contro la riforma firmata dalla ministra Marta Cartabia. L'opposizione dell'Associazione nazionale magistrati sembrava depotenziata dal fallimento dello sciopero del 16 maggio scorso, cui aveva aderito meno della metà dei giudici italiani. Ora l'Anm torna all'attacco sperando di mettere in discussione il percorso della riforma, già approvata alla Camera e in discussione al Senato. Ma per ora ottiene solo porte in faccia.
La ministra Cartabia saggiamente tace, fa sapere che l'opposizione del sindacato delle toghe non è una novità, e appare comunque serena sull'iter del provvedimento. Ma è un dato di fatto che l'Anm intende sfruttare fino in fondo il tonfo dei referendum leghisti. «La ministra e il governo si stanno muovendo in direzione contraria a quella che è la sensibilità del corpo elettorale», tuona il presidente Giuseppe Santalucia. «Il voto popolare - aggiunge - è una sonora bocciatura di un disegno di riforma della magistratura che non è gradito». E poco conta che proprio il quesito più inviso all'Anm, quello sulla separazione delle carriere, abbia raccolto tra i quasi dieci milioni di votanti la percentuale più alta di sì.
Tutto da vedere, però, quanto il mancato quorum e la voce grossa dei magistrati condizioneranno i lavori del Senato, dove il testo dovrebbe approdare in aula domani pomeriggio. Per ora la mediazione raggiunta alla Camera dovrebbe reggere. «È chiaro - ragiona Enrico Costa di Azione! - che se i referendum fossero passati avrebbero consentito di fare ulteriori passi avanti. Però non vale il contrario, non si può dire che chi domenica si è astenuto dal voto vada arruolato automaticamente alle posizioni dell'Anm. Insomma, l'accordo raggiunto alla Camera rimane il miglior testo possibile». Sulla stessa lunghezza d'onda il responsabile giustizia del Pd, Franco Mirabelli: «Noi abbiamo dato indicazioni di votare No proprio per evitare di dover cambiare la riforma Cartabia, quindi da oggi lavoriamo per approvarla così come è uscita dalla Camera».
È un testo, come è noto, assai annacquato rispetto alle premesse iniziali, ma che comunque porta a casa alcuni risultati: la valutazione delle performance dei singoli magistrati, la limitazione a un solo passaggio di ruolo tra giudice e accusatore, lo stop al rientro in toga per chi va in politica. Quanto basta perché l'Anm accusasse la riforma di costituire un attentato alla Costituzione, e perché oggi torni a invocare un ripensamento delle forze politiche. L'obiettivo è aprire un varco almeno nel Movimento 5 Stelle, che considera il testo della Cartabia un tradimento del vecchio progetto varato dal ministro grillino Alfonso Bonafede, e che il 26 aprile aveva votato a malincuore («non è la nostra riforma») il provvedimento del governo.
Ma ieri sera da Grazia D'Angelo, senatore 5S della commissione Giustizia, arriva una doccia fredda per l'Anm: «Non c'è alcun collegamento - spiega la D'Angelo al Giornale - tra l'esito del referendum e la riforma. La riforma recepisce nostre proposte molto positive e contiene aspetti su cui avremmo fatto diversamente, Ma è un compromesso nella maggioranza che ci siamo impegnati ad approvare».
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