C'è un fascicolo per fuga di notizie aperto in Procura a Bergamo. Al momento è contro ignoti. Ma a quanto parte il procuratore capo Antonio Chiappani ha un identikit ben preciso che si tiene per sé, sebbene qualche dettaglio è sfuggito nelle due interviste rilasciate ieri dal magistrato che ha messo alla sbarra governo, Regione Lombardia, ministero della Salute e Cts. «Un'idea sul chi e perché lo ha fatto ce l'ho ma non la dico», dice il procuratore alla Stampa. Anche il Giornale da giorni insegue Chiappani, che però alla richiesta di un commento declina l'invito: «Ritengo che sia giusto il mio silenzio, soprattutto per correttezza istituzionale nei confronti dei giudici che dovranno approfondire i fatti in base al contraddittorio tra le parti. Un mio continuo intervento non sarebbe corretto», scrive in un messaggino. «Dovrebbe indagare una procura diversa da quella di Bergamo», sibila Enrico Costa, deputato di Azione-Italia Viva e presidente della Giunta per le Autorizzazioni, furioso per il «marketing giudiziario» di atti secretati che finiscono sui quotidiani e per le intemerate mediatiche di Chiappani.
Alcuni indagati come il governatore Attilio Fontana («È una vergogna, non ho visto le carte»), lamentano di aver appreso dell'indagine per epidemia colposa aggravata dai giornali senza aver ancora ricevuto la notifica dell'avviso di chiusura. Neanche ieri. Un «danno d'immagine» pesante, anche perché dopo tre anni di riserbo questo scivolone mina la credibilità della Procura, finita nel mirino incrociato di giornali e partiti di sinistra che sminuiscono la portata della ricostruzione giudiziaria e ridicolizzano lo stesso Chiappani per qualche parola detta in tv. Su un punto però il procuratore ci tiene a fare una precisazione: «È assurdo e ridicolo» contestargli di aver chiuso tutto dopo le Regionali per salvare Fontana, tanto al Giornale risulta che a Venezia c'è già un'indagine aperta per chi invece ha sostenuto pubblicamente e sui social il contrario.
Ma il suo cruccio principale resta la fuga di notizie: «In fase di trasmissione dell'atto agli indagati c'è stata qualche vocina che ha parlato troppo, se a Roma o altrove questo stiamo cercando di capirlo. Se la vocina sia stata di qualche politico, non mi è dato sapere», sussurra il procuratore capo. A Roma? Un politico? Qualcuno maligna che nel mirino ci sia finito Andrea Crisanti, virostar eletta all'estero nella Circoscrizione Europa al Senato per il Pd. La stragrande maggioranza delle rivelazioni uscite sui quotidiani, social e tv ieri riguardano la perizia sulla mancata Zona rossa, decisiva per stabilire il «nesso eziologico» tra la mancata chiusura tempestiva di Alzano e Nembro e la diffusione del virus mortale nella Bergamasca alla base dell'inchiesta e ai 4mila morti in più causati. Nel mirino delle anticipazioni sono finiti lo stesso Fontana e l'ex assessore alla Sanità Giulio Gallera. Entrambi non parlano (ordine dei legali, pare) anche se il fuoco di fila dei giornali di sinistra li ha già condannati in contumacia.
Il Domani ha pubblicato stralci dell'interrogatorio dell'allora ministro dell'Interno Luciana Lamorgese che, audita dai magistrati di Bergamo, avrebbe smentito clamorosamente Fontana, affermando che era competenza della Regione chiudere Alzano e Nembro se il governatore l'avesse ritenuto necessario, alla luce del numero di contagi in pericoloso rialzo. Ipotesi confermata dalle dichiarazioni che l'ex numero uno di Confindustria Lombardia Marco Bonometti avrebbe fatto in Procura: «La Regione era d'accordo con noi nel non istituire zone rosse ma nel limitare le chiusure alle aziende non essenziali».
Al Giornale invece risulta che alla fine dell'interrogatorio di Fontana come persona informata dei fatti, senza dunque la «facoltà» di mentire, il pm Maria Cristina Rota si fosse decisame0nte convinta che a chiudere la Bergamasca dovesse essere il governo, di sua sponte.
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