«È importante snellire la burocrazia senza rinunciare alla legalità» (Stefano Patuanelli, ministro delle Politiche agricole). «Procedure più rapide senza sacrificare i diritti» (Andrea Orlando, ministro del Lavoro). E così via, a scorrere le notizie d'agenzia degli ultimi tre giorni. Un festival di dichiarazioni sobrie, inclusive, asettiche.
Si celebra Mario Draghi come l'eroe silenzioso che risolleva l'Italia senza show e rulli di tamburi, ma forse è giunto il momento di rendere gli stessi onori ai suoi ministri, composti come funzionari di Bankitalia. Attorno al tavolo circolare di Palazzo Chigi si è sublimato un nuovo corso politico: la totale «draghizzazione» dell'esecutivo. Politici che fanno i tecnici e i tecnici che rinunciano ai vizi pubblici dei politici. L'unico spiffero succulento filtrato dal Cdm era stato l'attacco di Giorgetti a Speranza: «Dimmi, tu chi rappresenti?». Tutti hanno sentito lo scontro tra il ministro nordista dello Sviluppo e il ministro sudista della Salute, e ovviamente molti hanno smentito. Fine degli incidenti pubblici.
Tra distanziamenti sociali e clima austero da fine pandemia, si è inaridito anche il filone del gossip governativo. Nessuno sa come inquadrare il look di Bianchi, per quale squadra tifa Cingolani, quale sia l'ultima pettinatura della Bonetti. Una cappa di riservatezza e ritrosia ha avvolto all'improvviso una classe dirigente che sapeva anche farsi notare per elementi extra politici. Finite di colpo le polemiche di giornata, le rivalità storiche, gli agguati mediatici all'avversario. Non è un caso che le questioni più intriganti di oggi risalgano, come una proiezione interrotta di un film, alla caduta di Conte a febbraio, il «Conticidio» appena rievocato con un libro da Marco Travaglio. Una stagione già consegnata alla storia ma che nessuno vuole archiviare, quasi a non fare evaporare la suggestione della grande congiura di Palazzo, ordita da poteri forti e da sgangherati incontri in autogrill mitizzati come colpi di coda dei servizi segreti. Certo, destano più suspense i pasticci delle mascherine di Arcuri che il laborioso mutismo del ministro dell'Economia Daniele Franco. Un po' di pepe lo hanno messo nelle ultime settimane Salvini e Letta, in realtà più attenti a lusingare i rispettivi elettorati che a sferrare il colpo del ko a un avversario diventato socio e alleato. Per guadagnarsi due giornate di ribalta persino Di Maio si è dovuto inventare garantista per sottrarsi agli sbadigli mediatici di qualche missione diplomatica secondaria tra Mali ed Emirati Arabi.
I ministri di Draghi sono politicamente corretti, se ne fregano del tweet che diventa virale e soprattutto hanno fatto la sfortuna dei talk show dove non vanno a gridare «io l'ho ascoltata fino adesso, quindi per favore...».
Sono passate come un soffio di vento le scarpe rosse anti violenza sfoggiate in ufficio dalla ministra Dadone, la stessa donna ammutolita davanti all'esternazione del suo capo Beppe Grillo contro la presunta
vittima del rampollo Ciro. Vignettisti e cabarettisti rischiano la disoccupazione dinanzi all'aplomb dei ministri draghizzati. Non basta il giochetto ritmato di «Colao Meravigliao» a risollevare l'umore nero degli italiani.
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