C'è una grande donna dietro allo strappo nello sprint finale di Joe Biden verso la Casa Bianca, e non è sua moglie Jill. Si chiama Stacey Abrams, 46 anni, vero cavallo di razza emerso nella scuderia dem degli ultimi anni. Non ha il fisic du role californiano di Kamala Harris e non ha goduto della visibilità social della newyorchese Alexandria Ocasio-Cortez, perché ritiene i social «la tomba della politica» ed è rimasta a combattere in trincea, quartiere per quartiere, in Georgia, dove il gioco è davvero duro e i neri devono ancora lottare per esercitare il diritto al voto. Ne ha fatto le spese lei stessa due anni fa, prima afroamericana candidata governatore, quando perse per un pugno di voti contro il repubblicano Brian Kemp. Sull'onda della comunque inaspettata performance Stecey, avvocato di grido di Atlanta, fu subito invitata sia da Barack Obama che da Bernie Sanders a impegnarsi per la corsa a senatrice in questa tornata elettorale. Decise invece di scrivere un'altra storia, non una delle sue famose fiction romantiche scritte sotto lo pseudonimo di Selena Montgomery, ma una pagina storica per la politica americana. Fonda Fair Fight Action (foraggiata con cinque milioni anche da Michael Bloomberg) organizzazione che combatte la dissuasione di stato contro gli elettori neri e riesce a portare in dote a Biden una montagna di voti, 800 mila, quelli che ieri gli hanno permesso di superare Trump, (sia pur di poco, così che sarà inevitabile il riconteggio) in uno stato che non elegge un candidato presidente democratico dal 1992 con Bill Clinton. Biden e il suo staff davano per scontata la vittoria repubblicana, tanto che l'ex vicepresidente ha tenuto un solo comizio ad Atlanta: a Washington non sapevano che in Georgia Stecey Adams aveva fatto la rivoluzione. Chissà se continuerà la sua battaglia a Washington da ministro, perché per Biden sarà l'unico modo adeguato di sdebitarsi se diventerà presidente.
Ma a meritare riconoscenza, in questa rincorsa al cardiopalma, è anche un'altra donna, che è stata determinante in Arizona, pure questo uno stato della «rossa» Sun-Belt a tingersi di blu. Si tratta di Cindy McCain, vedova di John McCain il senatore repubblicano e di spirito indipendente che si candidò alla presidenza nel 2008. Ebbene la sua signora ha fatto un brutto scherzo a Trump che in Arizona aveva vinto nel 2016 con 91 mila voti, dichiarando in settembre che avrebbe votato per Joe Biden; non solo, si è messa a disposizione del candidato democratico per fare campagna con delle apparizioni propagandistiche. Pare che sia stata la botta finale per un partito repubblicano in Arizona particolarmente lacerato, scippato anche del senatore con l'elezione dell'ex astronauta Mark Kelli. In Nevada, stato che potrebbe portare altri 6 grandi elettori a Biden, a fare la differenza è stato certamente l'ex senatore Harry Reid, classe 1939, già leader della maggioranza al Senato con Obama e detto «war machine». Pare si stato lui a rovinare i piani di Trump che, da esperto di casinò, puntava a sbancare Las Vegas. Reid ha arruolato il sindacato che rappresenta i lavoratori latino-americani addetti alla ristorazione nelle case da gioco: 500 camerieri-attivisti hanno battuto porta a porta, nonostante il rischio Covid, quei sobborghi di Las Vegas ritenuti a maggioranza repubblicana.
Secondo il Philadelphia Inquirer un grande ruolo nella mobilizzazione di voti afroamericani nella città di Rocky cruciale nel sorpasso di Biden in Pennsylvania - sarebbe stato il pastore Robert Collier, capo della Galilee Baptist Church, storica chiesa della comunità nera, visitata anche da Obama nella sua prima discesa in campo a fare da spalla all'ex vice. Nel 2016 Hillary prese sì il 90 per cento dei consensi tra i neri di Philly, ma per lei votarono solo il 10 per cento.
Padre Collier ha messo in piedi una task force in canonica, compilato la lista di coloro che non si erano ancora registrati e li ha chiamati uno per uno. Diavolo di un pastore, l'affluenza dei fedeli-elettori è stata del 70 per cento.
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