Sembra ritagliato su misura per l'Italia l'ultimo richiamo della Banca centrale europea sulle pensioni. Nel bollettino economico, l'istituto centrale di Francoforte chiede che i governi dell'area Euro non facciano passi indietro sulle riforme e si appella perché si intraprendano ulteriori interventi per innalzare, l'età evitando di frenare l'attuazione delle riforme già approvate.
Secondo la Bce l'invecchiamento demografico comporta «pressioni al rialzo sulla spesa pubblica per pensioni, assistenza sanitaria e cure a lungo termine. Ciò renderà problematico per i paesi dell'area ridurre il consistente onere del loro debito e assicurare la sostenibilità dei conti pubblici nel lungo periodo».
Nell'anticipo del bollettino di qualche giorno fa, la Bce aveva corredato l'analisi sulla previdenza con le stime sulla crescita della percentuale di over 65 rispetto alla popolazione lavorativa. Da poco più del 30% nel 2016 a oltre il 52% nel 2070. In Italia, dove questa percentuale è già ora fra le più alte in Europa insieme a Germania, Grecia, Portogallo e Finlandia, nel 2070 sarà a oltre il 60%, una condizione che il paese condividerà con Grecia e Cipro mentre il Portogallo deterrà il primato negativo con il 67%.
La Bce ricorda che «hanno adottato riforme pensionistiche a seguito della crisi del debito sovrano». Peccato che ora «la rapidità di attuazione di tali riforme sia recentemente diminuita».
Il riferimento nemmeno troppo velato è all'Italia, anche se gli economisti di Francoforte specificano come non sia possibile «trarre conclusioni relative ai piani di riforma dei singoli paesi».
Il fatto è che, dopo la riforma Fornero, c'è già stato un intervento per attenuare gli effetti della riforma (l'Ape social, volontaria e Rita). Poi, nei palazzi delle istituzioni internazionali sono forti i timori che il nuovo esecutivo italiano, espresso da una maggioranza che ha tra i pochi punti in comune proprio quello di intervenire sulla previdenza, allenti ulteriormente i requisiti per la pensione.
La direzione da prendere è opposta: «l'implementazione di ulteriori riforme in questa area si rivela essenziale e non deve essere differita, anche in vista di considerazioni di economia politica».
Un richiamo molto simile a quello recente del Fondo monetario internazionale. Ma la Bce aggiunge un ulteriore tassello, specificando che l'unico modo per rendere sostenibile il sistema previdenziale è proprio quello di agire sui requisiti, quindi sull'età pensionabile.
«L'aumento dell'età di pensionamento» può «ridimensionare gli effetti macroeconomici negativi dell'invecchiamento». Abbassare l'importo delle pensioni, invece, può «contrastare in misura molto limitata tali effetti macroeconomici». Da respingere l'aumento di contributi che pagano datori e lavoratori, che rischia di esacerbare gli effetti negativi sui conti pubblici dell'invecchiamento della pensione.
Tra le righe, insomma, gli economisti della Bce bocciano interventi che puntino su una maggiore flessibilità in uscita in cambio di un calcolo meno favorevole dell'assegno previdenziale. Quindi anche l'Ape nelle varie versioni varato dai governi Renzi e Gentiloni. No all'aumento dei contributi, che poi è quello che propongono senza troppo clamore i sindacati.
Sì, invece, ad aumenti dell'età del ritiro.
I richiami delle istituzioni internazionali riguardano spesso l'Italia, ma solo per ragioni di tenuta dei conti pubblici (nemmeno quelli strettamente previdenziali che sono in equilibrio). La nostra età del ritiro, per i pensionati del futurio, è già tra le più alte d'Europa.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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