Nello scacchiere internazionale dei vaccini, un po' ricerca farmaceutica e molto faccenda geopolitica, irrompe il fattore Johnson&Johnson. Il vaccino Usa, fresco dell'approvazione della Fda americana, si appresta a incassare anche il via libera dell'Ema, l'agenzia del farmaco europea: il sì dovrebbe arrivare entro marzo, forse addirittura nei primi giorni del mese che inizia oggi. «È sulla buona strada», rivela la ministra francese dell'Industria Agnès Pannier-Runacher.
Un'ottima notizia perché il siero della multinazionale di New Brunswick, rispetto a quelli già approvati dall'Ema come Pfizer-BioNTech e Moderna, richiede una singola dose e non due e dovrebbe contribuire a dare una bella sgasata al piano vaccinale dei vari Paesi europei, naturalmente se le consegne saranno rispettate e non ci saranno i ritardi registrati in particolari con il controverso vaccino di AstraZeneca. Una buona notizia anche per l'Italia, che ad aprile dovrebbe vedersi recapitare le prime dosi e che entro il 2021 dovrebbe riceverne 27 milioni. Un fattore che dovrebbe contribuire ad avvicinare l'obiettivo di vaccinare entro giugno tra le 300mila e le 500mila persone al giorno, per arrivare a 19 milioni di vaccinazioni al mese. Il vaccino J&J peraltro potrebbe essere prodotto anche nel nostro Paese: «A fine anno potremmo immaginare di avere una produzione italiana o quantomeno una partecipazione alla produzione anche da parte italiana perché questa è stata una corsa di collaborazione scientifica già nella ricerca mondiale», dice Massimo Scaccabarozzi, presidente di Farmindustria e ad di Janssen, che appartiene alla J&J.
Poi c'è la patata bollente di Sputnik V, il vaccino russo che divide l'Europa: chi non lo vuole perché non vuol dipendere da Mosca, chi non si fida e chi invece pensa che non c'è da far troppo gli schizzinosi quando c'è in ballo la salute della gente. Fatto sta che la Repubblica Ceca potrebbe rompere il fronte europeo e utilizzare il vaccino russo prima dell'approvazione da parte dell'Ema, che peraltro non sembra imminente. «Non possiamo aspettare l'Ema, quando la Russia ancora non ha presentato la domanda», dice alla Cnn il premier ceco Andrej Babis, a cui basterebbe il via libera da parte dell'autorità regolatrice di Praga. «Se la Sukl approverà la documentazione - dice Babis - il ministero della Salute dovrà rilasciare una deroga. Dopodiché, chiunque sia interessato potrà farsi vaccinare». Praga, che fino a qualche settimana fa sembrava allineata alla cauta posizione di Bruxelles, sta pensando di approvvigionarsi anche di Sinopharm, il vaccino di produzione cinese. «Un vaccino dalla Russia o dalla Cina non è la centrale nucleare di Dukovany», considera serafico Babis.
La Repubblica Ceca potrebbe così seguire l'Ungheria di Viktor Orbàn, che ha già approvato sia il siero russo sia quello cinese (proprio ieri il presidente ungherese è stato vaccinato con una dose del farmaco arrivato da Pechino) e che grazie a queste forniture «abusive» (almeno secondo le regole europee) conta di vaccinare 6,8 milioni di abitanti, ovvero due terzi della popolazione, entro fine giugno.
Insomma, sui vaccini si sta riproponendo la consueta spaccatura tra l'Europa delle regole e quella dell'opportunismo. Anche se pure i Paesi più «istituzionali» litigano tra di loro. Ieri una bega di confine ha diviso le due nazioni più importanti dell'Ue: la Germania da oggi pretende un tampone molecolare negativo per concedere il via libera a chi arriva dalla confinante regione della Mosella, una delle più colpite dal Covid in Francia. Un obbligo che grava anche sui tanti lavoratori transfrontalieri e che fa arrabbiare Parigi.
Il sottosegretario agli Affari europei Clément Beaune esprime «rammarico» e parla di «misura troppo rigida». La decisione tedesca getta un'ombra sulla politica di Bruxelles che incoraggia i paesi membri a evitare limitazioni di movimento sproporzionate e discriminatorie.
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