Assaltavano i bancomat mascherati da Trump

Catturati due fratelli di etnia sinti: facevano esplodere i forzieri con potentissimi ordigni

Andrea Acquarone

Anziché la tessera, loro per prelevare al bancomat utilizzavano le bombe. Capaci di mandare in frantumi i forzieri, sgretolare colonne portanti di edifici, ma senza distruggere troppe banconote. In gergo le chiamano «marmotte». E i due ladri sinti, con i volti mascherati da Donald Trump, si dimostravano veri specialisti. Professionisti dinamitardi. Solo con gli ultimi due «botti», uno fallito alla Unicredit di Cavallermaggiore, nel Cuneese, l'altro perfettamente riuscito a Vigone, nel Torinese, si erano intascati 92mila euro.

Vittorio Laforè, 26 anni, e Ivan, di 30, fratelli residenti ad Alpignano, nella cintura torinese, dalla celluloide avevano imparato molto. Tanto da incarnare, nel proprio modus operandi, i protagonisti di un paio di film di successo: The Jackal in cui il protagonista, Bruce Willis, cambia colore alla sua auto per eludere la polizia che lo bracca; e Point Break, lungometraggio dove i rapinatori per svaligiare banche si travisano con i volti di presidenti Usa.

Ai Laforè, degni figli di cotanto padre, ovvero Pietro Dellagaren, ergastolano detenuto all'isola d'Elba per omicidio (uccise un uomo nel 2001 durante una rapina in villa a Sant'Ambrogio di Susa), la fantasia non è bastata a evitare le manette. Sono sospettati dai carabinieri di almeno una decina di colpi, nel solo Piemonte. Ma potrebbero aver agito anche fuori regione. Per acciuffarli i militari hanno ripercorso a ritroso tracce, tecniche, tipo di esplosivi utilizzati, auto sulle quali arrivavano e fuggivano. Quasi sempre Mercedes classe A, rubate, e a cui di volta in volta veniva cambiata la targa e talvolta il colore. L'analisi delle immagini delle telecamere di sorveglianza delle banche prese di mira, il confronto dei dati relativi al controllo del territorio, persone e mezzi fermati prima e dopo i colpi, agganci a celle telefoniche hanno permesso ai carabinieri di individuare i due sinti. Che come base logistica avevano scelto un luogo «insospettabile», ovvero un garage affittato nel prestigioso «Villaggio Castello» centro sportivo e residenziale a Favria, cittadina a nemmeno 40 chilometri dal capoluogo. Da qui partivano, qui taroccavano macchine, sempre qui a quanto pare, preparavano le «marmotte», in questo caso esplosivi più potenti del tritolo caricati con «ecrasite»: una miscela di cresylate ammonio con acido picrico che non teme l'umidità, gli scossoni e il fuoco. E proprio per questo non semplice da innescare.

I due fratelli, mascherati da «The Donald», si muovevano di notte.

Prima forzavano la fessura per l'erogazione delle banconote del bancomat, poi inserivano l'ordigno nel foro e quindi si allontanavano facendolo brillare, probabilmente con un telecomando. Un'operazione «militare» che faceva pensare all'attentato. Mentre loro ripulivano le «macerie», indisturbati.

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