Auto sulla folla: due morti. "È la nuova Intifada"

Un bimbo di 6 anni e un 20enne travolti e uccisi a Gerusalemme da un palestinese

Auto sulla folla: due morti. "È la nuova Intifada"

Gerusalemme. Ogni volta è un nuovo sguardo nella perversione della natura umana, qualche giorno fa il terrorista ha aspettato per ammazzare le persone che uscivano dalla preghiera e ne ha uccise sette; il giorno dopo, il 29 gennaio un ragazzino di 13 anni, ha sparato su un padre e un figlio usciti dal tempio. E ieri un cittadino arabo israeliano di 31 anni, Hossein Karake, padre di tre figli, si è annidato col motore acceso di fronte a una fermata dell'autobus nel quartiere Ramot e, quando la folla gli è sembrata abbastanza fitta, ha lanciato l'auto addosso a un bambino di 6 anni, Israel Pelay, uccidendolo, a suo fratello di 8 anni, in fin di vita, a Alter Shlomo Lederman, uno studente di 20 anni sposato da due mesi, morto, e ad altri 5 rimasti feriti fra cui il padre dei bambini. Due poliziotti gli hanno imposto invano di uscire dall'auto e nello scontro l'hanno ucciso.

Karake viveva a Issawiya, 25mila abitanti, un sobborgo di Gerusalemme Est, un mondo di circa 300mila persone per la maggioranza arabe. Aveva documenti e targa che gli consentivano libera circolazione come agli altri terroristi che hanno ammorbato la capitale in questi mesi. Ma vi abitano anche le decine di migliaia che lavorano nelle banche, negli ospedali, negli uffici, sugli autobus, nei supermercati. Un puzzle impossibile che non consente una chiusura generica né un attacco di sicurezza, come invece il ministro alla sicurezza interna Itamar Ben Gvir è sembrato suggerire promettendo una nuova operazione «Muro di Difesa» come quello con cui Sharon mise fine alla seconda Intifada. Israele è confusa e sofferente e si domanda cosa fare. È sempre più evidente che Fatah di Abu Mazen coltiva la stessa cultura dell'incitamento dei terroristi più riconosciuti, fra i palestinesi, il 58% rifiuta la soluzione di due stati, il 70 non vuole tornare a parlare senza precondizioni, il 73 crede fermamente che il Corano preveda la distruzione di Israele.

L'Iran e la Turchia, l'uno sul fronte sciita che vede sempre più convertiti e affezionati alla sua promessa di distruggere Israele, e l'altro sul fronte della Fratellanza Musulmana vecchia sodale di Hamas e dotato di una visione ottomana di Gerusalemme islamica e imperiale, sono ormai presenti in molte forme e in molti luoghi, mentre la grande rete dei testi scolastici e delle tv palestinesi affiancata da Al Jazeera, vede Israele come un estraneo e finanzia Hamas e le sue armi.

Da 22 anni l'Autonomia Palestinese non permette elezioni, si permette qualsiasi violazione dei diritti umani nel silenzio e soprattutto nel finanziamento internazionale, Abu Mazen si sostiene sulla politica di finanziamento dei terroristi uno a uno, con stipendi fino a 3mila dollari al mese, uno stipendio enorme per l'Autonomia palestinese, nel mentre un patto di sicurezza con Israele, violato ogni giorno, lo protegge dall'odio di Hamas e lo copre come «moderato». Gli arabi israeliani si abbeverano di questo messaggio, il terrorista viene festeggiato anche da loro la sua memoria santificata, dolci vengono distributi anche adesso in memoria dell'eroico Shahid. L'anno passato così Israele ha avuto 31 morti, 129 feriti, gli attacchi a fuoco per le strade che dimostrano l'ormai vasta diffusione di armi è salita a 300 agguati. Quest'anno già 8 sono stati uccisi, e centinaia di attacchi sono stati scoperti. Le risposte ci sono state, l'esercito agisce in difesa per catturare terroristi che avevano colpito o che stavano per colpire, e i morti palestinesi sono causati da conflitti a fuoco. Netanyahu l'ha detto più volte: «Attenzione, l'aria in questo periodo è incandescente» e William Burn l'ha appena minacciato: «Siete a un millimetro dall'Intifada». Ormai Israele di fatto c'è dentro fino al collo, non ancora con i numeri spaventosi dei morti dal 2001 al 2003, quando le strade furono sommerse dal sangue di 1500 innocenti. Ma ormai è chiaro che non si tratta di «lupi solitari».

Gli attacchi se non pianificati in anticipo, sono tuttavia preparati da una cultura di massa che delegittima l'esistenza di Israele, da una vasta distribuzione di armi, e anche dalla continua promessa che Israele verrà distrutto, e che gli ebrei verranno uccisi. Si chiama antisemitismo.

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