Le banche messe all'angolo: non possiamo regalare soldi

Conte chiede "atti d'amore" e scarica sugli istituti l'onere di aiutare le aziende. Lo spettro di ripercussioni penali

Le banche messe all'angolo: non possiamo regalare soldi

Si fa presto a chiedere un «atto d'amore» alle banche, come ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte. Ma gli istituti di credito non sono venuti meno, per quanto possibile, alle richieste d'aiuto provenienti dal settore imprenditoriale. Soprattutto nei gruppi maggiori si fa notare come le pratiche per i finanziamenti interamente garantiti dallo Stato fino a 25mila euro siano ben superiori alle 28.500 rese note dal Mediocredito Centrale. In 10 giorni (il dl liquidità è operativo da lunedì 20 dopo l'ok Ue del 14 aprile) il settore del credito ha cercato di fare la propria parte compatibilmente con un quadro di regole totalmente nuovo. E, soprattutto, trovandosi tra due fuochi. Da una parte, la clientela, spesso ignara, che i prestiti interamente coperti avessero un limite nel 25% dei ricavi dell'azienda. Dall'altra parte, la politica che, per non fare brutta figura (visto che le risorse a copertura delle garanzie sono modeste), ha scaricato l'onere di colmare il solco tra aspettative elevate e realtà deludente proprio alle banche.

Il problema, spiegano i banchieri, è che «non possiamo fare molto di più di quello che stiamo facendo: regalare i soldi non è possibile perché ci sono regole di bilancio da rispettare e autorità di vigilanza, a partire dalla Bce, con le quali confrontarsi». Insomma, non è, con tutto il rispetto, una mensa della Caritas alla quale chiedere la beneficenza di un pasto gratis, ma un'istituzione che deve rispondere a numerose controparti. La più «terrificante» delle quali è la magistratura perché l'incauto banchiere che avesse erogato un prestito a un'azienda piegata nei fondamentali dal coronavirus che si trovasse a fallire dovrebbe rispondere penalmente del reato di bancarotta. Una preoccupazione condivisa anche dalla Banca d'Italia che alla Camera ha di fatto chiesto una tutela per i manager degli istituti.

Ultimi ma non meno importanti i problemi connessi alla gestione stessa dei finanziamenti. Se il debitore andasse in default, lo Stato garantirebbe il recupero del prestito garantito, ma il resto delle esposizioni sarebbe più o meno perso perché lo Stato stesso diventerebbe creditore privilegiato con emissione di cartelle esattoriali facendo «retrocedere» le banche nell'insinuazione al passivo. Nonostante tutto questo, ieri in audizione il direttore generale dell'Abi, Giovanni Sabatini, è tornato a chiedere di «accelerare le procedure di concessione di nuova liquidità da parte delle banche» mediante autocertificazione delle imprese che chiedono prestiti superiori a 25mila euro bypassando la presentazione di bilanci e altra documentazione. Insomma, come hanno detto in molti (da Bankitalia a Confindustria), la strada dei trasferimenti diretti alle imprese sarebbe preferibile.

Un'ulteriore dimostrazione della veridicità di queste affermazioni è fornita dal sindacato, generalmente contrapposto ai datori di lavoro. Invece i bancari ci tengono a far sapere come siano rimasti al proprio posto in filiale, in alcuni casi contraendo il virus ma aiutando i propri superiore a gestire la mole di pratiche arrivate con la richiesta di finanziamenti.

«La politica ha preso alcune decisioni, ma di fatto ha buttato la palla in tribuna, senza tener conto che serviva tempo per adeguare, negli istituti, sia le procedure interne sia quelle informatiche», aveva dichiarato in audizione Lando Maria Sileoni, segretario della Fabi, la sigla più rappresentativa aggiungendo che «l'intera procedura messa in piedi è troppo complessa per rispondere a esigenze di liquidità immediate».

E se questo non è amore, forse gli assomiglia l'avere in portafoglio 380 miliardi di Btp a un passo dall'esser valutati «spazzatura» dalle agenzie di rating.

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