Bandiera bianca su Raqqa Cade la roccaforte Isis, allarme jihadisti in fuga

Le milizie curdo-arabe guidate dagli Usa conquistano l'ex capitale simbolo del Califfato

Gaia Cesare

Una donna esulta irrefrenabile, si strappa di dosso il burqa nero, bacia la terra e abbraccia le milizie curde che l'hanno appena liberata, mentre una soldatessa le porge acqua fresca nel video-simbolo della nuova era. Intanto la bandiera bianca sventola al posto di quella nera nella ex roccaforte dei tagliagole ridotta ormai a poco più di un cumulo di macerie, su quell'ospedale cittadino e sullo stadio comunale in cui gli ultimi jihadisti fedeli ad Al Baghdadi si erano trincerati nel tentativo di resistere all'assalto. L'ora X è arrivata. Raqqa, la città della Siria che l'Isis aveva dichiarato in principio propria capitale e trasformato in una grande prigione a cielo aperto, da ieri è libera, insieme con Mosul e Aleppo. Merito delle Forze democratiche siriane, l'alleanza di combattenti curdi e arabi sostenuti dalla Coalizione militare internazionale capeggiata dagli Stati Uniti ed entrata in azione a giugno con il lancio della battaglia culminata domenica scorsa nell'assalto finale. Tre anni prima - era il 13 gennaio 2014 - l'Isis aveva proclamato Raqqa capitale del Califfato.

Decapitazioni di massa, stupri, rapimenti, lapidazioni di piazza. La presa di Raqqa, più che un valore militare ne ha uno simbolico. La città è stata in questi anni l'ombelico del terrore imposto dall'autoproclamato Stato Islamico che ha schiacciato i suoi abitanti sotto il peso dell'interpretazione più spietata della sharia, la legge islamica, applicata senza pietà su donne e bambini. Luogo simbolo del pugno di ferro? La Piazza Paradiso in cui i militanti dell'Isis mettevano in scena la loro barbarie quotidiana ai danni di chi aveva violato i rigidi codici di comportamento islamici mentre un pubblico plaudente assisteva a decapitazioni e lapidazioni richiamato dagli altoparlanti che annunciavano lo «spettacolo».

Il bilancio dell'offensiva è pesante ed è destinato crescere: almeno 3250 morti, tra cui almeno 1130 civili mentre sono state circa 50mila le persone assediate insieme ai jihadisti e costrette a lottare contro la fame, l'assenza di medicinali e l'ennesimo atto spietato dell'Isis che ha usato migliaia di abitanti come scudi umani, compresi tanti bambini.

Eppure i 30mila combattenti curdi dell'Ypg (le Unità di protezione del popolo curdo) e i 20mila arabi che compongono l'alleanza guidata dagli Usa ce l'hanno fatta. E grazie a un accordo tra i capi tribali locali e gli ultimi miliziani rimasti asserragliati in città hanno fatto in modo che a scappare, la scorsa settimana, ci fossero 3500 civili provenienti dalle aree della città controllate dall'Isis e anche un convoglio di membri dello Stato islamico.

Il timore principale adesso riguarda l'Europa e l'Occidente. Cresce infatti la preoccupazione per le centinaia di foreign fighters, i combattenti provenienti da varie parti del mondo che hanno affiancato l'Isis nella sua causa sanguinosa e che potrebbero ora tornare nei propri paesi di origine e mettere a segno nuovi attentati.

La caduta di Raqqa, dopo quello di Aleppo e Mosul non necessariamente significa la fine del Califfato ma è il segno di un'avanzata che nelle ultime settimane ha visto i seguaci di Al Baghdadi ha perso perdere il controllo di vaste aree, tra cui anche il capoluogo della provincia di Deir Ezzor, a 150 chilometri da Raqqa, e la città di Mayadine sulla riva orientale del fiume.

Subito dopo la liberazione dell'ex capitale, le milizie curdo-arabe hanno dato il via a una massiccia operazione di rastrellamento per neutralizzare eventuali combattenti jihadisti isolati e hanno avviato una azione di sminamento.

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