Sono partiti a valanga e non smettono di arrivare. E-mail e messaggi sui cellulari e sui soliti megafoni «social», dal Partito repubblicano ai propri elettori. Si tratta di milioni di inviti a partecipare alla raccolta fondi per sostenere le battaglie legali con cui Donald Trump vuole tenersi la Casa Bianca. Ma un primo stop la squadra del presidente lo ha subito ieri a Filadelfia, in quella Pennsylvania che con i suoi 20 Grandi Elettori potrebbe essere la chiave che apre le porte della White House. Il team del leader repubblicano aveva ottenuto il permesso di entrare nella sede in cui si sta svolgendo il conteggio dei voti per posta a Filadelfia. Un modo per controllare la regolarità dello spoglio, che Trump non smette di contestare. Ma la Corte Suprema della Pennsylvania ha ribaltato la decisione della Corte del Commonwealth, pronunciandosi contro la richiesta. È una sconfitta ma è solo l'inizio di una lunga serie di ricorsi e scontri a colpi di avvocati attraverso i quali Trump intende difendere con le unghie e con i denti la sua poltrona. Forte di una consapevolezza: in alcuni Stati-chiave, anche quelli già assegnati al rivale Joe Biden, lo scarto tra i due contendenti è minimo. In Wisconsin, dove il presidente ha chiesto un riconteggio, è sotto l'1% (Biden con il 49,6% e Trump con il 48,9%). In Arizona tra i candidati c'è una differenza inferiore al 3% (e così anche in Nord Carolina, dove Trump è in vantaggio). Testa a testa pure in Nevada. Ecco perché è arrivato il tempo di affilare le armi legali. «Faremo ricorso per frode elettorale in tutti gli Stati dove Biden ha rivendicato (la vittoria). Siamo pieni di prove - date un'occhiata ai media. VINCEREMO! America First!, twitta il presidente.
Nonostante la minaccia pronunciata da Trump nella notte del voto, mentre denunciava «le frodi» a spoglio in corso, non è la Corte Suprema, almeno nell'immediato, l'obiettivo del team legale del presidente, guidato dall'ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, che agguerritissimo dice: «Non lasceremo rubare i voti agli impostori democratici di Filadelfia». Per ora la guerra va avanti a colpi di piccole-grandi battaglie, Stato per Stato, con centinaia di legali inviati sul campo. La strategia del presidente è cambiata pian piano. Dopo la contestazione del voto per posta, si è passati al duello sul procedimento di scrutinio. Perciò è arrivato il ricorso per fermare il conteggio delle schede in Nevada, dove l'ex procuratore generale dello Stato Adam Laxalt, ora nel team di Trump, ha denunciato «casi evidenti di illegalità» e riportato testimonianze di chi si è presentato al seggio sentendosi dire di aver già votato. Stesso tentativo di fermare la conta dei voti è stato fatto in Michigan (respinto perché presentato all'organismo sbagliato) e in Georgia. Proprio dalla Georgia è arrivato un altro stop a Trump: un giudice ha respinto il ricorso su una cinquantina di «absentee ballots», i voti di chi non può partecipare alle elezioni in presenza. Secondo i legali del presidente ci sarebbero stati tentativi di contare voti arrivati in ritardo. Richiesta non accettata: l'ufficio elettorale ha provato che tutti le schede erano legittime e recapitate in tempo. I repubblicani ci provano anche in Pennsylvania, dove il ricorso riguarda le schede «corrette», in cui agli elettori è stato consentito di rimediare a un errore nel voto postale. Il procuratore dello Stato, Josh Shapiro, è stato inflessibile: «Non permetterò a nessuno di interrompere lo scrutinio».
Ma è dalla Pennsylvania che potrebbe partire il tentativo del presidente di rivolgersi alla Corte Suprema, per cancellare i voti per posta che, fin qui legittimamente, come stabilito dalla Corte Suprema di Pennsylvania, arriveranno fino a oggi, purché spediti entro il 3 novembre.
Tirata per la giacchetta due volte dai repubblicani, finora la Corte Suprema ha deciso di non intervenire. Ma il caso potrebbe essere affrontato prima o poi. È il motivo per cui Trump si è affrettato a nominare Amy Coney Barret fra i nove giudici della Corte Suprema, 6 dei quali conservatori.
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