Oltre alla pena di 2 anni e 8 mesi per la vicenda Yves Rocher, ora il dissidente russo Alexei Navalny rischia anche una condanna ai lavori forzati. È quanto emerge dal processo in corso al tribunale Babushkin di Mosca che vede Navalny alla sbarra per diffamazione. I fatti risalgono allo scorso 2 giugno, quando l'oppositore di Putin pubblicò su Twitter e Telegram alcuni commenti su un video postato da Ignat Artyomenko, veterano della Seconda guerra mondiale. Nel filmato l'ex militare aveva espresso la sua posizione a sostegno delle modifiche alla carta costituzionale. Secondo l'accusa, Navalny avrebbe redatto un post che conteneva informazioni false e che denigravano l'onore e la dignità di Artyomenko. Il veterano ha preso parte al processo tramite un collegamento video a causa delle gravi condizioni di salute, mentre Navalny era presente in aula (ci tornerà il 12 febbraio). «Sono disgustato e non posso sopportare che un povero veterano venga usato come un burattino. Mi auguro che non venga strangolato nella notte per poi attribuirmi la colpa», ha dichiarato Navalny al pubblico ministero Ekaterina Frolova. Il suo legale, Vadim Kobzev, ha ritenuto i capi di imputazione «arbitrari, contraddittori e contrari alle norme della legislazione vigente». Kobzev ha invitato il suo assistito a indossare in aula la mascherina perché «tra avvelenamenti, covid e altre morti misteriose, di questi tempi bisogna stare molto attenti». È un chiaro riferimento a Sergei Makshimishin, il medico che curò Navalny nell'ospedale di Omsk dopo l'avvelenamento dello scorso agosto, deceduto giovedì in circostanze misteriose. Makshimishin, 55 anni, era il responsabile del reparto di terapia intensiva dell'ospedale, dove l'oppositore del Cremlino aveva ricevuto le prime cure prima di essere trasferito in Germania. Il medico sarebbe morto per un attacco cardiaco in seguito a un improvviso incremento della pressione sanguigna, ma Evgeniy Govarov, amico e collega di reparto al Clinical Hospital No.1 di Omsk, ha definito il decesso inatteso. «Non soffriva di particolari patologie e di sicuro escludo l'ipertensione».
Navalny non ha rinunciato a incitare i suoi sostenitori. Sul suo blog ha scritto: «Possono mantenere il potere, usandolo per un guadagno personale, solo contando sulla nostra paura. Ma noi, avendo superato la paura, possiamo liberare la nostra patria da una manciata di ladri usurpatori». Un appello raccolto da sostenitori che hanno manifestato a Mosca e a San Pietroburgo. Secondo fonti ufficiose si parla di almeno 700 persone fermate. Quello delle carceri tra l'altro sta diventando un serio problema di garanzia dei diritti umani. Dall'inizio delle proteste sono finite in manette circa 10mila persone. Le prigioni sono sovraffollate, al punto che in celle predisposte per otto si trovano anche trenta persone in attesa di giudizio.
La denuncia arriva da Sergei Smirnov, il direttore del sito di notizie Mediazona, condannato l'altro ieri a 25 giorni di reclusione, ma anche dal difensore civico per i diritti umani di San Pietroburgo, Alexander Shishlov, che parla di «esseri umani trattati come animali».
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