Alla fine rischiano di diventare il Mondiale della smentita. L'ultima è stata ieri la popstar Dua Lipa che ha spento le voci sulla sua partecipazione alla cerimonia di apertura: «Visiterò il Qatar quando avrà adempiuto a tutti gli impegni presi in materia di diritti umani». E non è l'unica a tirarsi indietro di fronte alla possibilità di esibirsi in un paese che, com'è noto, non rispetta l'omosessualità, i diritti umani e neppure l'integrazione dei migranti.
Si dirà: ma ve ne accorgete solo adesso? E, soprattutto, cosa ne pensa chi - ad esempio i piloti di F1 o MotoGp - abitualmente gareggiano in paesi come il Qatar? In effetti fino a ora Qatar 2022 è stato il festival del non detto e pure dell'ipocrisia di chi, a casa propria, si indigna per la più piccola violazione politicamente scorretta ma poi accetta di esibirsi in una delle roccaforti mondiali dei diritti negati.
È il solito strabismo.
Da una parte c'è chi ha escluso ogni possibilità di esibirsi in Qatar. Dall'altra c'è chi ha ceduto alla prospettiva di avere una platea di miliardi di persone e godersi in pochi minuti una visibilità che nessun altro evento garantisce. E così, da Robbie Williams fino a Shakira sarà una passerella di superstar. Tanto per fare qualche nome: Jung Kook dei coreani BTS, Black Eyed Peas, Fatboy Slim David Guetta, Afrojack (marito di Elettra Lamborghini), Calvin Harris, Tinie Tempah fino agli italiani Benny Benassi e Andrea Martini (trasferito da anni in Danimarca). Tutti risultano tuttora in cartellone nei giorni del Mondiale più contestato di sempre.
E non è mica la prima volta che accade, figurarsi, è dai Mondiali di calcio in Argentina del 1978 che ci sono polemiche sulla partecipazione e sul rispetto dei diritti umani. Ma oggi siamo nel 2022, basta un click per scoprire (quasi) ogni violazione. Certo, si dirà, gli italiani sono fuori dal Mondiale e quindi è più facile protestare. Anche la Scozia non giocherà ai Mondiali eppure Rod Stewart, che è orgogliosamente scozzese, ha rifiutato «un sacco di soldi» (oltre un milione di euro) per cantare allo stadio Al Bayt. Se ci fosse andato - ha detto - avrebbe cantato The Killing of Georgie, un suo brano del 1976 sull'assassinio di un amico gay. Messaggio molto chiaro.
Insomma siamo alla resa dei conti e non è escluso che anche altri artisti all'ultimo momento rinuncino a esibirsi, magari anche a costo di penali milionarie. Se non altro perché, al ritorno dall'apparizione strapagata, sarebbe molto complicato aderire con credibilità a qualcuna delle tante iniziative di sensibilizzazione che coinvolgono il mondo della musica. E non è soltanto un problema legato alla musica pop. In realtà in questi anni tanti altri artisti hanno preso posizione.
Ma adesso gli interventi sono molto più frequenti. Fiorello ad esempio a «Aspettando Viva Rai2!» sul suo profilo Instagram e poi su RaiPlay ha detto con la sua tipica ironia: «Si dovrebbero ritirare tutti da questo Mondiale in Qatar, un Paese dove tutti gli abitanti sul loro zerbino hanno scritto Diritti umani. E loro li calpestano ogni giorno. Avete sentito cosa hanno detto degli omosessuali? Tutti i tifosi e gli addetti ai lavori saranno chiusi in una Fan Zone, in uno spazio ristretto, e se poi escono da lì saranno arrestati. E noi chiudiamo il campionato per tutto questo? E la Rai ha speso 200 milioni per prendere i diritti di questi Mondiali?».
Un attacco frontale, che fa seguito a quello dell'altro giorno di Pier Silvio Berlusconi («È servizio pubblico?»). E che, nelle prossime settimane, sarà seguito da tanti altri con il solito, prevedibile rischio: che poi alle parole non segua niente altro.
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