Il carosello dell'indignazione va avanti. Ma i nomi non saltano fuori. E peró la pattuglia dei reprobi da consegnare alla gogna pubblica si assottiglia: è vero, cinque deputati avrebbero sciaguratamente chiesto il bonus da 600 euro, ma solo tre l'avrebbero incassato. Due sarebbero leghisti e uno del Movimento Cinque Stelle. Ci si chiede come sia possibile questo centellinamento di informazioni sulla porta socchiusa della privacy; certo, l'uscita della notizia sarà pure casuale ma di fatto trasforma il referendum sul taglio dei parlamentari in una formalità. Il popolo vuole vedere in faccia i miserabili da dodicimila euro netti al mese che hanno arraffato la mancia, come tanti disperati che non sanno come arrivare a fine mese.
Sentimenti ruvidi. La pancia che comanda alla testa. Polvere, anzi un polverone che aumenta la confusione. Chi può si tira fuori. «Ho sentito il presidente dell'Inps Pasquale Tridico - assicura Ettore Rosato, uno dei big del partito renziano - e mi ha assicurato che nessun parlamentare di Iv ha preso il bonus».
E allora? Boh. Nella Lega, dove regna lo sconcerto, giocano la carta dei consulenti: il commercialista di turno potrebbe per troppo zelo aver compilato la domanda, mettendo nei guai l'illustre cliente. Tesi debole, per non dire evanescente,
I Cinque Stelle, scossi da sacro e originario furore, decidono di bruciare i tempi: tutti i deputati vengono invitati a firmare, già nella giornata di ieri, un modulo che verrà girato oggi all'Inps per sapere se i loro nomi sono nella lista dei beneficiari. Insomma, siamo al gioco del cerino o se si vuole a una specie di me too dal finale cinematografico: perché il traditore, se c'è, dovrebbe rimanere impigliato nel frenetico carteggio.
Gli appelli e le dichiarazioni si susseguono senza sosta. Il governatore del Veneto Luca Zaia propone di strappare il sipario della privacy: «Se no, non ne usciamo».
L'inseguimento prosegue senza sosta e il leghista toscano Mario Lolini, azienda agricola in Maremma e profilo sospetto manco fossimo in una fiction criminale, rompe l'assedio dei cronisti e smentisce su tutta la linea: «Non sono io e per scrupolo ho fatto fare un controllo al commercialista se per caso fosse stata avanzata una domanda a mia insaputa, ma non c'è niente di niente».
Sul palco, sotto gli indesiderati riflettori, salgono solo due dei duemila politici non parlamentari che, nel turbinare delle voci, avrebbero ricevuto l'obolo: un elenco sterminato e variegato di assessori, sindaci e figure varie nella geografia del potere locale. Franco Mattiussi, consigliere regionale per Forza Italia in Friuli-Venezia Giulia e titolare fra l'altro di un hotel, vende cara la pelle e prova a sfuggire al processo sommario: «Ho utilizzato quei soldi anche per far quadrare i conti che comunque dovevano essere saldati. Perché, nonostante tutto fosse fermo, le bollette continuavano ad arrivare. Quindi calma, sangue freddo e razionalità». Più stringato Matteo Gagliasso, ingegnere e consigliere regionale per la Lega in Piemonte: «Venerdì ho fatto il bonifico e ho restituito all'Inps 1200 euro».
Insomma, prima di eseguire le condanne già scritte bisognerebbe almeno sentire le voci del partito trasversale degli accattoni, vagliare le posizioni, leggere le storie.
Nell'Italia degli innumerevoli bonus confezionati in tutti i modi, anche i politici, di fascia alta, media o minore, si sono messi in coda sfruttando una legge fatta male e,
quando prima o poi verranno allo scoperto, lotteranno per non soccombere.Un po' come è successo, anche se la vicenda non è perfettamente sovrapponibile, sul fronte dei vitalizi. Oggetto di centinaia di agguerriti ricorsi.
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