Il boom dell'Eurozona ha messo a nudo gli errori del premier

Il governo è alla ricerca di voti per il potere. E non delle vere misure per il rilancio dell'economia nazionale

Il boom dell'Eurozona ha messo a nudo gli errori del premier

Il presidente della Bce Mario Draghi ha rivisto leggermente al rialzo le stime dell'Eurozona. Ma il premier, che compare sui nostri schermi con grande frequenza per propagandare gli effetti benefici della politica del governo sulla nostra economia e criticare i gufi, non ha dedicato alcuna attenzione a questa notizia. Infatti non poteva farlo: mentre compariva venivano resi noti i dati sull'economia europea in maggio, dell'Indice Markit uscito quasi contemporaneamente, che mostrano bensì un miglioramento medio nell'Eurozona ma un peggioramento in Italia. Che è il fanalino di coda dei cinque paesi più importanti, seguita subito dopo, dalla Francia. L'indice Markit per la produzione in maggio in Irlanda è cresciuto a 59,1. In Spagna è al livello 54,8. In Germania è cresciuto è a 54,5. In Francia è rimasto al 50,9 mentre l'Italia è sceso a 50,8. Il nostro livello di maggio è il più basso da 17 mesi a questa parte. Ancora peggio è andato, per l'Italia in maggio l'indice Markit piccole e medie imprese per i servizi, che è diventato negativo, scendendo a 49,8 punti: 50 punti è il livello che separa dalla contrazione. In aprile l'indice in questione era a 52,1. Questo risultato è inatteso, non si pensava a un dato così negativo. In effetti, è vero che l'induce piccole medie imprese dei servizi è in un trend decrescente, dopo aver toccato in dicembre un picco a quota 55. Ma, considerando i dati oggettivi, la contrazione era stimata a 51. Sembra che abbiano pesato negativamente i fattori psicologici. Il sotto indice relativo ai nuovi ordini è calato a 51 punti in maggio dai 51,9 del mese precedente e dati in peggioramento si registrano anche per gli altri indicatori, ad esempio quelli su occupazione o aspettative nel settore. Questo è il segnale peggiore per la politica del governo presa nel suo complesso, perché si riferisce, in larga misura, alle aspettative. Probabilmente la sfiducia che si riflette nella flessione dell'indice complessivo dei servizi deriva anche dal fatto che il governo continua a propagandare le sue riforme, in particolare quella costituzionale soggetta a referendum, dando l'impressione di non volersi misurare con i problemi della vita quotidiana. I dati Ocse appena usciti mostrano che la competitività italiana che nel 2011 era al livello 98,850 (la parità rispetto alla media Ocse è 100) è scesa nel 2016 al livello 97,13; l'indice della produttività dei costi del lavoro è sceso dal livello 98,7 del 2011, quando avevamo ancora le ferite della recessione mondiale, al livello 96 quest'anno. Cio mentre c'è in Europa la ripresa, sia pure faticosa.

La Francia si rende conto di aver perso competitività e il suo presidente socialista Hollande sta facendo un Jobs Act con la regola che il contratto di lavoro aziendale prevale sul nazionale. In Italia il governo non lo fa perché è alla ricerca di voti per il potere, non delle vere misure per il rilancio dell'economia nazionale e di una ampia possibilità di ciascuna di trovare lavoro.

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