Il voto estero sempre più al centro dei sospetti. Ci sarebbero almeno tre falle nel sistema di voto per gli italiani che vivono oltre confine, confermando che il rischio di brogli e pasticci su quel bacino di 4 milioni di voti potenziali è consistente. A parlarne al Giornale è Vittorio Pessina, senatore azzurro e coordinatore di Fi per l'estero. Che snocciola i punti deboli del sistema. A cominciare dal passaggio della scheda da casa dell'elettore al suo consolato di riferimento. «La spedizione delle lettere con le schede, che non sono timbrate, avviene con posta ordinaria, non via raccomandata, e dunque senza cautele o garanzie», spiega Pessina, ricordando che anche la successiva raccolta in ambasciata da parte dei servizi consolari, una fase «delicatissima», non è esente da rischi, in quanto «qualsiasi funzionario del consolato può gestire queste buste all'arrivo nella sede diplomatica», conclude Pessina, aggiungendo che il voto è segnato con una banale penna biro, nera o blu, e non con la «canonica» matita copiativa.
L'altro punto sensibile che il senatore azzurro individua come critico è la presenza consolidata dei patronati all'estero. Istituzioni che, spiega Pessina, «per la quasi totalità sono controllati dal centrosinistra», e che rappresentano ancora un punto di riferimento importante, soprattutto per gli emigrati italiani di vecchia generazione. Questi ancora adesso si affidano ai patronati anche per le procedure di voto, e il rischio è che, di fatto, alcuni elettori invece di seguire le istruzioni allegate ai kit per il voto deleghino una fase che dovrebbe essere segreta e personale proprio ai patronati, col rischio di una «stortura nell'espressione di un voto libero», insiste Pessina.
L'ultima criticità nel complesso sistema che consente agli italiani all'estero di partecipare alle elezioni, e che è già stato stigmatizzato dopo le elezioni 2013 dall'ambasciatrice Cristina Ravaglia, che l'ha definito in una lettera alla Farnesina «totalmente inadeguato, se non contrario ai fondamentali principi costituzionali che sanciscono che il voto sia personale, segreto e libero», riguarda il passaggio finale delle schede «votate» all'estero. Raccolte dai consolati, queste volano da ogni parte del mondo fino ai dintorni di Roma, nel centro di raccolta di Castelnuovo di Porto. Dove i cartoni con le schede vengono stoccati per essere conteggiati. Ma qui i «controlli sono scarsi», ricorda ancora il senatore. Insomma, il pericolo è che qualche malintenzionato, conoscendo la provenienza delle schede, e di conseguenza l'orientamento politico prevalente in quell'area (per esempio l'Argentina vota a destra, la Spagna più a sinistra) decida di mandare al macero i plichi sgraditi prima del tempo, ossia prima che le schede in essi contenute vengano scrutinate. Pasticci e storture sono dietro l'angolo. E a sollevare dubbi non sono solo i politici del fronte del No, ma anche gli stessi elettori.
L'ultimo caso, sollevato dal Fatto Quotidiano, riguarda un italiano residente a Praga, Edoardo Livolsi, che dopo aver ricevuto il «kit elettorale» per posta - e aver votato NO al referendum, rispedendo la scheda con la busta preaffrancata - si è
visto recapitare un secondo kit e una seconda scheda, denunciando l'accaduto e chiedendosi a quanti altri italiani residenti all'estero è stata data l'occasione di votare due volte. Alla faccia della regolarità del sistema.
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