La bufala della trattativa Stato-mafia: un teorema

Il Gup che ha assolto l'ex ministro Mannino boccia i pm del processo: "Assemblaggio di indizi"

La bufala della trattativa Stato-mafia: un teorema

La pietra tombale, più che sull'imputato assolto un anno fa, l'ex ministro Calogero Mannino, è sul processo dei processi in corso a Palermo da tre anni e mezzo formalmente, da quasi vent'anni nella sostanza visto che l'indagine muove i primi passi nel 2000 (con relativi costi): quello sulla trattativa Stato-mafia, sul patto tra boss e istituzioni per fermare le stragi, dopo le bombe del '92 a Palermo e del '93 a Roma, Firenze e Milano. Già, perché le 525 pagine di motivazioni della sentenza con cui Mannino è stato assolto con rito abbreviato dall'accusa di minaccia a corpo politico dello Stato - il reato contestato agli imputati per la trattativa ideato dall'ex pm Antonio Ingroia- depositate adesso dal Gup di Palermo Marina Petruzzella lo dicono chiaro e tondo: i pm che hanno imbastito il processo sulla trattativa Stato-mafia hanno messo su «una sorta di suggestiva circolarità probatoria», incrociando fatti e suggestioni in modo che si riscontrassero a vicenda, «attribuendo - scrive ancora il Gup - valore dimostrativo a fatti non gravemente e precisamente significativi dell'assunto da provare». Il che, tradotto, significa che quello dei pm è un teorema, che non ci sono prove concrete del fatto che la trattativa ci fu.

Una bomba, l'ennesima su un processo è stato già al centro di polemiche, non ultime quelle su Napolitano intercettato e poi costretto, da capo dello Stato in carica, a testimoniare. Una bomba per varie ragioni. Perché smonta il cuore della trattativa. Perché è l'ennesima sentenza che dice che i fatti che i pm ritengono essere alla base della trattativa non sussistono: infatti l'ex comandante del Ros, il generale Mario Mori, imputato del processo in corso, è stato assolto sinora in tutti i processi gemelli che il teorema ha generato, quelli sulla mancata perquisizione al covo di Totò Riina (sentenza definitiva) e sulla mancata cattura di Bernardo Provenzano nel 1995 (primo grado e appello). E una bomba anche perché abbatte il teste chiave dell'accusa: Massimo Ciancimino, l'ex «icona dell'antimafia» (copyright Ingroia in un suo libro) poi caduto in disgrazia.

Sull'inattendibilità di Ciancimino jr il Gup è tranchant: «Salta agli occhi - scrive - la sua forte suggestionabilità, con la tendenza ad assecondare la direzione data all'esame dai Pm, frammista a una propensione alla rappresentazione fantasiosa e spettacolare, e al contempo manipolatoria». E ancora: «Propensione a sfruttare a beneficio della propria immagine e notorietà mediatica la situazione processuale, attraverso un crescendo di rivelazioni sensazionali».

Rivelazioni prive di sostanza, come il celebre «papello» (l'elenco di richieste di Riina allo Stato, ndr) «frutto di una grossolana manipolazione». Insomma, un bugiardo. Un teste inattendibile sulle cui dichiarazioni si è trascinata alla sbarra la Prima Repubblica.

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