"Il burkini? Un simbolo, ma dico no ai divieti"

La giornalista: "È il segno dell'oppressione delle donne. Però sono loro a dovere decidere"

"Il burkini? Un simbolo, ma dico no ai divieti"

Il burkini è diventato l'immagine che sta caratterizzando l'estate italiana e non solo. Le donne coperte da capo a piedi che si tuffano in mare ha suscitato una valanga di prese di posizione fino ai divieti francesi. Anche Marina Terragni, giornalista e blogger, editorialista di Io Donna-Corriere della Sera e opinionista televisiva, è rimasta molto colpita. «Non so se le ha mai incontrate al mare, ma fanno impressione. Loro indossano il burkini e il marito ha le mutande. A una donna vengono i brividi: è un'oppressione evidente. La libertà è un fatto istintivo. Basta vedere cos'è accaduto a Sirte (la città libica dove liberata dall'Isis, ndr), le donne si strappavano di dosso il velo integrale ».

La decisione francese di vietare il burkini nelle spiagge è stata una mossa sbagliata?

«Non mi pare che i francesi stiano facendo molte mosse giuste. E questo mi pare un atto muscolare. Cosa si risolve in questo modo? Se lo faccio per una questione di sicurezza o di igiene, per esempio in una piscina, allora ha un senso».

La ministra francese Rossignol ha affermato che il burkini riveste la stessa logica del burqa, cioè la sottomissione della donna.

«Non c'è alcun dubbio. Nessun essere umano andrebbe in spiaggia con una palandrana che la fa morire di caldo. Al mare vai a cercare il sole che fa bene alla salute, a rinfrescarti nell'acqua. Quindi non c'è altra ragione se non la sottomissione. Il problema è che se lo vieti quelle donne non cambiano abbigliamento ma semplicemente non vengono più al mare».

E quindi che cosa possiamo fare di concreto?

«La voglia di libertà deve partire da loro. Noi possiamo solo farle innamorare della nostra libertà, aiutarla a compiere i passi per conquistarla e farle sapere che uomini e donne dell'Occidente la sosterranno. Ma deve essere lei a fare la scelta».

Come il discorso di esportare la democrazia.

Certo, non ha funzionato molto bene. Se quei popoli considerassero la libertà un bene primario e la democrazia con tutti i suoi difetti il miglior sistema trovato finora, saranno spinti a conquistarla, altrimenti continueranno a vivere come prima. La questione, però, non è dire sei qui e fai come diciamo noi. Certo, di fronte a certe richieste, come l'infibulazione o la domanda di un'equipe medica femminile per far partorire la moglie, non si può acconsentire. Ma per altre cose bisogna venirsi incontro».

Dare solo l'esempio non sembra sortire molti effetti.

«Noi italiani possiamo dare lezioni di integrazione. Sono a favore della fermezza in tante questioni: sicurezza, salute e le cose che mettono in eccessiva difficoltà la convivenza civile. Ma è nelle relazioni interpersonali che si producono i cambiamenti, non con imposizioni».

Ma certi usi e pregiudizi sono difficili da sradicare.

«La notizia del giorno è che Sumaya (consigliera comunale del Pd a Milano, ndr) dica il burkini mi piace e non mi limita e fa bene contro il sole. Non mi fa tanto piacere, visto che è del mio partito. Già sulla poligamia non ha detto una parola, adesso afferma che lei si mette il burkini e lo trova comodissimo. No, abbia la cortesia di tacere anche su questo. Poi se vuoi indossarlo, fallo, ma non trasformarlo in una bandiera politica perché mi viene la pelle d'oca.

Per le donne la libertà è una conquista così recente che la paura di perderla è sempre sentita. Con la paura magari cominci a coprirti di più per non offendere qualcuno, a non uscire di sera, a non guidare l'auto... No».

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