La "calamita" di Zingaretti dilania l'elettorato a 5 Stelle

I grillini sono preoccupati dalla svolta a sinistra del Pd Temono di essere schiacciati tra dem e Lega pigliatutto

La "calamita" di Zingaretti dilania l'elettorato a 5 Stelle

Lunedì scorso il ministro Danilo Toninelli era all'inaugurazione della nuova mensa delle Ferrovie dello Stato. Martedì il vertice sulla Tav non era ancora finito e il responsabile grillino del ministero competente era già in palestra, allo Sporting Palace, a due passi dal ministero, a tirar su bilancieri e a rimirarsi gli addominali. Una vera fissazione. Annagrazia Calabria, deputata di Forza Italia, per tutta la scorsa legislatura si è sentita ripetere da Toninelli ad ogni riunione di Commissione una frase di rito: «Hai visto che addominali ho?!». L'altro giorno il ministro, uscendo dalla palestra, ha raccontato di nuovo le sue gesta: «Ho tirato su due pesi, ma non ho potuto fare di più. Io normalmente arrivo alle sette del mattino, ma oggi non ho avuto tempo». Quella è l'unica scocciatura che gli ha arrecato la Tav, argomento spinoso che divide i gialli dai verdi. «Comunque - si è limitato a dire sul tema - prenderemo una decisione entro venerdì». Qualche ora dopo, a chi gli chiedeva, al ministero, semmai si sarebbe dimesso, è scoppiato in una mezza risata, accompagnata da una frase del tipo, «neppure con le baionette». Un'affermazione che ha un suo fondo di verità: perché nei fatti Toninelli si è già dimesso, visto che ormai di quell'argomento si occupano altri, non lui. Semmai a lui tocca lo scomodo ruolo, all'occorrenza, di capro espiatorio. Nulla di più.

Del resto che potrebbe fare il ministro tra un Di Maio che non vuole la Tav e un Salvini che la esige: se le cose fossero chiamate con il loro nome, infatti, una mediazione sarebbe impossibile, come la quadratura del cerchio. «Io - spiega Manuel Tuzzi, anima candida del movimento 5stelle che ancora ci crede - oggi ho parlato con tre di noi e mi hanno detto che di fronte al sì alla Tav, si dimetterebbero e tornerebbero a casa. Né possono far partire i bandi di gara lunedì con l'ipotesi di bloccarli in seguito: se partono significa che la Tav si fa!». Per cui per trovare l'intesa c'è bisogno che uno dei due contendenti creda, com'è già successo in questi 10 mesi di governo, che «gli asini volano». E qualcuno si prepara a crederci, visto che tutti escludono la crisi o le elezioni anticipate. «Il governo durerà cinque anni - scommette il sottosegretario leghista all'economia, Garavaglia - ma ogni giorno avrà la sua pena». «Crisi? Ma di che! Noi dureremo al governo cinque anni - gli va dietro il suo corrispettivo grillino al Mef, Alessio Villarosa -: se li è fatti il Pd, perché non ce li dovremmo fare anche noi?!». Mentre l'economista del Carroccio Claudio Borghi taglia corto: «Vi pare che ci possa essere una crisi di governo per un tunnel! Solo un mio collega, per aver preso larga una curva, è entrato in galleria con mezza macchina, mentre l'altra metà è rimasta fuori!».

Ma Conte, Salvini e Di Maio rischiano di ripetere già oggi o in un prossimo futuro proprio l'esperienza del «collega» di Borghi. L'ipotesi di un governo longevo, che esorcizzasse le contraddizioni che dividono i suoi componenti (magari credendo, appunto, che gli asini volino), poggiava sulla convinzione che l'economia in un modo o nell'altro sarebbe rimasta lontana dai livelli di guardia e che il gioco politico fosse prerogativa esclusiva di Salvini e Di Maio, con gli altri giocatori inermi. Invece, tutto è cambiato: l'Ocse ieri ha annunciato che l'intero 2019 vedrà il nostro Paese in recessione e la commissione Ue ha avvertito il governo che con il «no» alla Tav l'Italia rischia di perdere 800 milioni di euro di fondi europei; mentre l'avvento di Zingaretti ha rimesso in moto il quadro politico. «Siamo passati - è la sintesi del piddino Emanuele Fiano - dal partito liberaldemocratico di massa di Renzi al Pd a vocazione minoritaria di sinistra che punta sulla coalizione di Zingaretti. Un partito, quindi, più adatto a riassorbire l'elettorato di sinistra finito nell'astensione o nel grillismo. E che rilancia in questo modo il bipolarismo tra centrodestra e centrosinistra». Un Pd «calamita», destinato ad attrarre gli elettori pentastellati che soffrono il protagonismo di Salvini; e, contemporaneamente, a garantire un possibile approdo a pezzi di gruppo dirigente grillino, che scegliessero la via della «scissione» in polemica con il «pragmatismo» di governo, per non dire il doroteismo, di Giggino Di Maio. «Il Pd di Zingaretti - conferma Massimiliano Smeriglio, esponente di sinistra europea e vice del segretario del Pd al vertice della Regione Lazio - è uno strumento formidabile per un'operazione del genere: per dirla tutta, la grillina Roberta Lombardi è già con noi».

Insomma si è messo in moto un meccanismo letale per i 5stelle, che rischiano di essere vittime da una parte di Salvini, che drena il loro elettorato di destra; e dall'altra di Zingaretti, che potrebbe riassorbire quello di sinistra. Si tratta di una novità che terremota la geografia politica su cui era nato l'attuale governo. «Con il crollo dei 5stelle o con la loro scissione - è l'analisi di Guglielmo Epifani, ex segretario della Cgil e ora deputato di Leu - il baricentro dello scenario politico che per la follia di molti oggi è situato sul confine tra loro e la Lega, ritornerebbe al centro di uno schema imperniato su un centrodestra e un centrosinistra con il Pd interprete della sinistra: Zingaretti, cresciuto nel Pci, non vuole nessuno alla sua sinistra. Nelle primarie ha chiesto aiuto a noi di Leu, pregandoci di non attaccarlo su quel versante».

Ultima conseguenza, un Pd come quello di Zingaretti radicato a sinistra, apre un grande spazio anche nell'area moderata. Lo ammettono in molti. «Certo riassorbiremo - osserva Maria Elena Boschi - i voti di sinistra, ma rischiamo di perdere quelli di centro che aveva conquistato Renzi». «Al centro - sostiene Dario Franceschini - c'è una prateria. Ma la politica non è fatta solo di geometrie, ma anche di leadership». Un discorso che tira in ballo anche Forza Italia, che è uno dei soggetti che interpretano l'area moderata del paese. «Se Salvini fosse furbo - sostiene il coordinatore in Toscana, Stefano Mugnai invece di tentare l'annessione, dovrebbe lasciare Forza Italia a presidiare il centro del centrodestra».

Tutto si gioca, però, sulle capacità di interpretare quel mondo e sui rapporti di forza. Ma intanto, ciò che è avvenuto, ha già rivoluzionato il modo di pensare di molti. «Tra noi, compresi gli ex comunisti, - dice l'ex segretario della Cgil Epifani - sono in molti a rimpiangere Berlusconi: lui rispetto agli attuali governanti, è democratico ed inclusivo.

Io proclamai 19 scioperi generali contro il suo governo, ma l'ultima volta che ci incontrammo mi diede la mano e mi disse che ero stato un avversario duro ma leale. Se avessi proclamato uno sciopero contro il suo governo, invece, Renzi mi avrebbe mandato in Siberia. Figuriamoci Salvini. Gli illiberali sono in tutti gli schieramenti».

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