Il giorno della verità dovrebbe - il condizionale è d'obbligo - essere oggi. «Entro lunedì decideremo», ha ripetuto in questi giorni Carlo Calenda. E il Nazareno è in pressing sul leader di Azione: «Lunedì abbiamo la riunione con i segretari regionali per chiudere il quadro delle liste, dobbiamo sapere se ci siete o no». In serata arriva una lettera formale a Enrico Letta dove Calenda mette nero su bianco le condizioni già cinguettare in questi giorni.
Ieri, però, dalle parti del Pd si registravano nervosismo e scoramento: le condizioni poste da Calenda per allearsi, in una raffica di tweet mattutini (rilanciati a sera con la richiesta al Pd: «Aspettiamo risposte») non promettevano niente di buono per la «coalizione tecnica» tra Azione (con il suo arcipelago liberal-democratico che va da Emma Bonino alle ex ministre di Forza Italia Mara Carfagna e Mariastella Gelmini alla potenziale intesa con Matteo Renzi) e il listone di centrosinistra. «Discutiamo di quel che volete - diceva l'ex ministro dello Sviluppo economico - ma agli elettori di Azione non possiamo chiedere di votare Di Maio, Bonelli (anti-Ilva, termovalorizzatori e rigassificatori) e Fratoianni che ha votato per 55 volte la sfiducia a Draghi». Per non parlare degli altri ex grillini: il Pd si è impegnato a candidare in qualche modo il capogruppo uscente Davide Crippa e il ministro Federico D'Incà, che secondo il Nazareno avrebbero in extremis cercato di «convincere» Conte a evitare la sfiducia contro il governo Draghi (con l'efficacia che si è vista). E dal Pd si conferma: «Sono stati i nostri a bloccare, la mattina del 20 luglio, la scissione già pronta di Crippa e D'Incà», racconta un parlamentare cui lo stesso D'Incà ha confidato: «Il Pd mi ha chiesto di restare fermo, perché speravano che Conte avrebbe capito e evitato di regalare al centrodestra la non fiducia». Scelta assai poco lungimirante, come si è poi visto: l'ex premier 5S non aveva capito nulla, e non ha votato la fiducia. Ma ora Crippa e D'Incà passano all'incasso: «Col Pd c'è stato un dialogo costante, anche in quel famoso mercoledì in Senato», è il messaggio, vagamente ricattatorio, recapitato da Crippa a Letta. Tradotto: ci avete fatto delle promesse, ora darci un posto sicuro. Stessa richiesta dal duo «cocomero» Fratoianni-Bonelli: esigono un collegio blindato, ben sapendo che la loro lista rosso-verde non raggiungerebbe mai il quorum del 3%, e il Pd è pronto a garantirglielo. Regalando un assist notevole all'ala di Azione contraria all'accordo (a cominciare dagli ex di Fi) e allo stesso Matteo Renzi, che pressa Calenda perché costruisca un «terzo polo» tra «Salvini e Meloni da una parte e Fratoianni e Di Maio dall'altra». Perché «c'è uno spazio moderato e riformista che gli italiani voteranno». Renzi boccia le ipotesi di intesa tra Calenda e Pd, facendosi forte anche della possibilità di offrire al leader di Azione l'esenzione dalla raccolta delle firme per presentare le liste, se i radicali di Bonino (che le hanno) andranno con il centrosinistra. E sventola sotto il naso di Calenda i sondaggi che parlano di un potenziale 10/15% di consensi, equamente sottratti a sinistra e a destra, se un centro «macroniano» andrà per conto proprio.
A sera, l'ex forzista, oggi in Azione, Andrea Cangini twitta: «Fratoianni, Bonelli e Di Maio neanche parlarne. Ma se mezzo Pd rimpiange Conte e l'altro mezzo auspica la patrimoniale, è chiaro che nessuna intesa sarà mai possibile». Il riferimento alla tassa di successione sui «super-ricchi» avanzata da Letta è chiaro. E nel Pd è allarme rosso.
Al Nazareno l'eventuale niet di Calenda all'alleanza viene esorcizzato con la
«bipolarizzazione» della scelta elettorale: «Solo noi e la Meloni cresciamo nei sondaggi, le aspiranti terze forze verrebbero stritolate». Ma il timore di ritrovarsi da soli con «cocomeri» e ex grillini è forte: «Sarebbe un disastro».
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