Il teorema che non c'era è stato smontato pure dai giudici di appello. E l'accusa ha deciso di non giocare la carta della cassazione e di fermarsi prima.
Risultato: l'assoluzione dell'ingegner Francesco Bellavista Caltagirone e di altri dieci imputati è ora definitiva. Si chiude una delle pagine più sconcertanti della recente cronaca giudiziaria che pure ci ha reso familiari abbagli ed errori imperdonabili. Questa volta l'accusa puntava il dito contro una storica società di costruzioni, l'Acqua Marcia, e ipotizzava che il gruppo di Bellavista Caltagirone avesse truffato lo Stato, speculando indecorosamente sui lavori di costruzione del porto turistico di Imperia.
I presunti magheggi avrebbero fruttato qualcosa come 300 milioni, 300 milioni, va da se, di costi gonfiati.
Non era cosi, ormai lo ammettono tutti, ma il bilancio finale resta drammatico e dovrebbe innescare un dibattito pubblico sugli eccessi della carcerazione preventiva: Bellavista Caltagirone è rimasto in carcere sei mesi e poi ne ha trascorsi altri tre agli arresti domiciliari. Nove mesi in tutto, senza contare lo sfregio iniziale del divieto di incontro con gli avvocati per i primi cinque giorni. Non solo, il gruppo Acqua Marcia, che all'epoca, nel 2012, era una potenza, aveva una robusta presenza nell'immobiliare e aveva in portafoglio alcuni porti turistici, aeroporti e otto splendidi hotel a cominciare dal leggendario Molino Stucky a Venezia, è passato per le forche caudine del concordato e oggi è in liquidazione. I suoi gioielli sono volati altrove e in portafoglio non c'è più niente. Una catastrofe, purtroppo non l'unica nei controversi rapporti fra magistratura e imprenditoria.
Il teorema che non c'era era già caduto in primo grado, nel 2014, davanti al tribunale di Torino. E il caso aveva fatto scalpore, infiammando la polemica sui guasti della custodia cautelare. Errata. Come rimediare a questa stortura? Ci vuole un gip collegiale, si disse allora ipotizzando ragionevolmente che tre teste possano sbagliare molto meno di una sola. Che naturalmente si sia innamorata della propria tesi, fino ad arrivare a negare pezzi di realtà.
Non se n'è fatto nulla e il sistema è rimasto lo stesso. Ora arriva anche l'assoluzione in corte d' appello e la chiusura della storia. Non c'erano trucchi, non c'erano costi lievitati, non c'era niente di niente. C'era solo un imprenditore, Francesco Bellavista Caltagirone, appartenete ad un ramo dei Caltagirone, che pensava in grande e sognava di dotare l' Italia di una rete di porti turistici all'altezza, da Catania a Civitavecchia, da Siracusa a Fiumicino.
Oggi Bellavista Caltagirone ha 78 anni e la gioia per la fine di questa durissima battaglia si mescola all'amarezza per non aver realizzato quel che immaginava e per aver smarrito il suo impero. Sentimenti che purtroppo hanno conosciuto altri personaggi di successo: basti pensare al fondatore di Fastweb Silvio Scaglia, tenuto un anno intero in custodia cautelare, prima in prigione e poi a casa, e poi assolto.
Nei giorni scorsi pure per lui è arrivata in appello la conferma dell'innocenza. Ma naturalmente anche nel suo caso i danni erano già fatti.
E oggi, come se non bastasse, con l'equiparazione fra corrotti e mafiosi prevista dal nuovo codice antimafia, gli imprenditori rischiano il sequestro di beni e patrimoni sulla base di un semplice sospetto. E l'Italia si allontana ancora una volta dagli standard di civiltà giuridica dei paesi più avanzati.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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