Perché poi è sempre una questione di numeri. Due appelli, un'ora di sospensione, una riunione urgente dei capigruppo, le telefonate affannate ai deputati dispersi, ma alla fine non c'è niente da fare, il risultato non cambia. Gliene mancano cento alla maggioranza, e così la risoluzione sulle comunicazioni di Roberto Speranza sui provvedimenti anti Covid deve essere rinviata a giorni migliori. Slitta pure il Consiglio dei ministri, che doveva allungare al 31 gennaio lo stato di emergenza sanitaria e il potere di Palazzo Chigi di emanare i decreti di urgenza senza troppi controlli del Parlamento. Niente dialogo, niente decreto: il centrodestra esulta. E in serata Sergio Mattarella invita il governo a cercare il confronto. «È necessario uno sforzo comune e un impegno convergente delle istituzioni, il più possibile condiviso».
A fine mattinata un boato dall'emiciclo dell'opposizione accoglie l'annuncio ufficiale della mancanza del numero legale. «I giallorossi sono in frantumi», dice Giorgia Meloni. Secondo Matteo Salvini «sono litigiosi e assenti pure quando si parla di virus, vadano a casa». E Maria Stella Gelmini chiede che si presenti in aula Giuseppe Conte per «aprire un dialogo e convincerci della necessità dello stato di emergenza». Ma per il presidente di turno Ettore Rosato, Idv, «non c'è nulla da festeggiare» perché gli assenti sono quasi tutti contagiati.
Infatti, banchi vuoti, imbarazzo, polemiche. Il Coronavirus ha colpito duro, però il problema della maggioranza è più politico che tecnico-procedurale o medico: tra quarantena e isolamento volontario, sono 41 i deputati del centrosinistra e grillini a marcare visita. Gli altri sessanta, banalmente, non sono presenti, e anche dopo la seconda chiama ne mancano sempre otto per rendere valida una votazione. Va a vuoto pure il tentativo del pd Emanuele Fiano di conteggiare gli assenti come parlamentari in missione, per abbassare il numero legale. Era già successo a marzo con dei deputati bloccati nelle zone rosse. Rosato però blocca l'iniziativa, il precedente stavolta non si può applicare: «La missione va chiesta prima».
E dunque resta stampata la fotografia di una coalizione che cerca il blitz senza avere la forza di farlo, che chiede misure straordinarie senza la necessaria attenzione ai meccanismi parlamentari, che va allo scontro senza badare e alle tante trappole nascoste. Il paradosso è che la risoluzione Speranza passa tranquillamente in Senato, dove la maggioranza dispone di cifre molto ballerine, e s'impantana proprio a Montecitorio, dove in teoria i margini sono ben più ampi. Tant'è: solo colpa del Covid? «Il problema non è politico, ma di sciatteria», commenta Roberto Giachetti.
Intanto a Palazzo Chigi stanno studiando come superare l'impasse provocato dal rinvio del voto. Due le soluzioni possibili. Aspettare 24 ore, sperando che la Camera si ripopoli? O varare comunque il Dcpm e riferire solo dopo al Parlamento con una semplice informativa? A termini di regolamento e in base all'urgenza si può fare anche così. Però questa seconda strada rischia di arroventare ancora di più il clima perciò, dopo una giornata di conciliaboli, Conte sembra orientato a far slittare di una settimana le nuove norme, prorogando di sette giorni il decreto attualmente in vigore per non aprire buchi legislativi. In questo modo si può pure valutare la curva dei contagi e concordare i provvedimenti restrittivi con le Regioni.
E con il centrodestra, come chiede Mattarella? «Noi vogliamo collaborare - spiega la Gelmini - non siamo negazionisti né irresponsabili, sappiamo che occorrono tutte le cautele del
caso, però non si può pensare di chiedere aiuto solo per ottenere il numero legale. Se vogliamo stabilire un metodo, il presidente del Consiglio venga qui, ci dia tutte le informazioni e ci persuada. Il dialogo si fa così».
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