Gli ultraottantenni dovranno pazientare ancora un po' prima di vaccinarsi, di sicuro non potranno mettersi in fila a fine mese come da programma. E il milione di vaccinati rischiano di ricevere la seconda dose dopo i ventun giorni canonici necessari per garantire l'immunizzazione.
Fosche previsioni queste, che fanno peggiorare l'umore del Commissario straordinario Domenico Arcuri. Venerdì la Pfizer ha tagliato la consegna del 30% le dosi settimanali previste in Italia e non si sa per quanto tempo. Ma se prima si parlava di tre settimane, (che fanno quasi mezzo milione di dosi in meno) ora i vertici dell'azienda dicono, a mezzo stampa, che forse basta una settimana per attivare le consegne come in passato. Arcuri però ormai non si fida. E sta ancora aspettando che Pfizer metta nero su bianco la retromarcia sui tempi di consegna del vaccino: alla sua attenzione non è arrivato nessuno scritto che possa rassicurarlo. E l'ansia aumenta. «Come abbiamo detto altre volte dice - il mercato va lasciato libero di esprimere i propri effetti, promosso e controllato. Il mercato ha un solo limite, non può mai calpestare il diritto alla salute». E in effetti qui si rischia di minare la prima importante tranche della campagna vaccinale nazionale. Questa incertezza ricade sulla pelle degli italiani, vaccinati e non. E Arcuri ammette: «Se la Pfizer conferma il taglio della fornitura del vaccino ci potrà essere un problema nelle prossime settimane per la somministrazione della seconda dose a chi ha già ricevuto la prima». Non solo: «Potrà verificarsi anche un rallentamento della campagna di vaccinazione in ItaliaSiamo stati troppo veloci?»
In effetti la decisione di penalizzare con un 30% in meno delle dosi il nostro paese sembra una strategia quasi studiata a tavolino. Siccome siamo stati bravi, possiamo rallentare, così come succede nel resto d'Europa. Il cambio di passo è stato improvviso, unilaterale e praticamente imposto, lasciando nello sconcerto Arcuri che poteva vantare di aver ottenuto, per ora, il primato europeo dei vaccinati. E la cosa lo irrita. «Non si sta rendendo problematico il processo di produzione e distribuzione di merendine o scarpe spiega - ma il processo di distribuzione e somministrazione di un vaccino necessario ad evitare conseguenze tragiche alle quali siamo esposti da quasi un anno». Lo sanno bene anche le regioni che in queste ore hanno tempestato di domande lo staff del commissario straordinario che ha risposto a tutti con una lettera poco esaustiva. Infatti, a parte informarle sui problemi legati alla decisione della Pfizer, non ha potuto dire loro quante dosi nuove verranno assegnate a ogni territorio. Purtroppo, è l'azienda che ha l'onere della distribuzione direttamente ai centri vaccinali, ma proprio la Pfizer non ha indicato il criterio e la consistenza dei «tagli» di fornitura decisi unilateralmente per ognuno dei circa 300 centri per la somministrazione.
Insomma, fino a lunedì sera, quando arriveranno (si spera) le nuove consegne non si capirà se gli ospedali dovranno bloccare le nuove vaccinazioni e usare sia le dosi accantonate sia quelle nuove per garantire la seconda dose e la conseguente immunizzazione. Il problema più grande coinvolgerà regioni come la Campania che non hanno fatto molta scorta di dosi per allargare la platea della vaccinazione. In questo caso, che succederà? Quanto sarà possibile aspettare per fare il richiamo? Francesco Menichetti, direttore Clinica malattie infettive all'ospedale di Pisa, aspetta di fare la seconda dose il 26 gennaio. E avverte che «possiamo aspettare due o tre giorni in più. Ma se si allunga troppo il tempo del richiamo non va bene, è pericoloso.
Si mette a rischio la copertura vaccinale». Un caso pratico del concetto dichiarato dall'Ema che ieri ha esortato a fare la seconda dose nei tempi prescritti dalla schedula vaccinale. Sarà stato anche un messaggio lanciato alla Pfizer di non perdere altro tempo?
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