Sono tra i trend del 2024. Perché anche se il cyberspionaggio non è certo un'esclusiva dell'ultimo anno, i casi di dossieraggi e pesca a strascico nelle banche dati negli ultimi mesi si sono addirittura accavallati. Se prima a tenere banco era il caso di Pasquale Striano, il tenente della Gdf al centro dell'inchiesta della procura di Perugia sui presunti accessi abusivi a informazioni riservate e sui cosiddetti «dossieraggi» messi in piedi su politici e vip, scoperchiata dopo una denuncia del ministro della Difesa, Guido Crosetto. Poi è arrivato il caso di Carmelo Miano, l'hacker siciliano difeso da Gioacchino Genchi che per anni, prima dalla sua Isola e poi dal quartiere romano della Garbatella dove s'era trasferito, ha violato i server del ministero della Giustizia, accedendo alle caselle email delle toghe di mezza Italia: aveva le password di almeno 46 magistrati inquirenti. Di poche settimane fa è poi il caso di Vincenzo Coviello, il bancario spione di Intesa San Paolo, che a suo dire per «curiosità personale» avrebbe, per più di due anni, frugato tra i dati e i conti di oltre 3.500 clienti, non soltanto del suo istituto di credito, e tra questi anche sette presidenti del consiglio Meloni compresa e altri importanti politici e personalità istituzionali.
Naturalmente, non è iniziato tutto con il caso Striano. Risale al 2007 la scoperta da parte della procura di Milano (che indagava sulla extraordinary rendition di Abu Omar del 2003) del cosiddetto «archivio di via Nazionale», una banca dati romana con migliaia di dossier su magistrati, politici e giornalisti. Ma il funzionario del Sismi che occupava quell'ufficio Pio Pompa fu assolto (come pure, nel 2014, l'ex capo dell'intelligence militare Nicolò Pollari) nel 2017 perché «il fatto non costituisce reato».
E se sull'ufficiale di Marina Walter Biot si è abbattuta una condanna a 20 anni per spionaggio, quello «classico» (è stato sorpreso in un parcheggio mentre vendeva per 5mila euro documenti segreti a un funzionario russo), tornando a dossieraggi e banche dati non si può omettere il caso dell'ingegnere Giulio Occhionero e di sua sorella Francesca Maria, ai quali s'era arrivati seguendo le tracce di un malware, Eyepyramid, che aveva infettato migliaia e migliaia di computer esfiltrando dati per anni e depositandoli in server negli Usa: i due vengono arrestati a gennaio 2017 e condannati in primo grado rispettivamente a 5 e 4 anni. Un anno dopo, però, sono fuori.
E Occhionero denuncia alla procura di Perugia il pm che lo aveva arrestato, Eugenio Albamonte, i funzionari del Centro nazionale anticrimine informatico per la protezione delle infrastrutture critiche, che si erano occupati del suo caso, e il consulente informatico della toga, Federico Ramondino. Sul banco degli imputati finisce solo quest'ultimo, assolto a luglio scorso, mentre Occhionero che si dice vittima di un complotto aspetta ad Abu Dhabi il processo d'appello.
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