Stipendi sontuosi e liquidazioni da favola. Un dirigente amministrativo dell'Ordine di Milano porta casa uno stipendio annuo di 212.784 euro. Un suo collega, pure senza camice bianco, se n'e andato in pensione con un bottino di 760 mila euro. Un altro colletto bianco, nemmeno laureato, ha ricevuto una dote di 494 mila euro.
I medici italiani macinano impegno e scontentezza, ma sulle loro teste fiorisce una nomenklatura che sembra sopravvivere a crisi e pandemie, sfoggiando retribuzioni d'altri tempi. Qualcosa non quadra: un primario ospedaliero, gravato da pesanti responsabilità, guadagna da 60 a 160 mila euro l'anno. Non solo: chi si dedica, finito il turno canonico, alla libera professione, vede i suoi compensi falcidiati da una tassazione crescente ed esasperante nell'ordine del 18-19 per cento. Da sommare, naturalmente, al carico dell'Irpef. Siamo, fatto il totale, oltre un insostenibile 60 per cento di imposte.
Ma se si va al vertice dell'Enpam, l'Ente nazionale previdenza e assistenza dei medici, si scopre che il presidente Alberto Oliveti, un medico pure lui con base nelle Marche, ha una retribuzione lorda annua che supera, con indennità e bonus vari, i 500 mila euro. A spanne, la stratosferica cifra di 40 mila euro al mese. Due volte e passa l'appannaggio del Presidente della repubblica, fermo a quota 239 mila euro.
In queste settimane i 400mila iscritti votano per il rinnovo dei 107 ordini provinciali. E gli ordini costituiscono a loro volta la base degli assetti dell'Enpam, il cui consiglio d'amministrazione - che a sua volta elegge il Presidente - è scelto dai «magnifici» 107 presidenti insieme ad altre 70 personalità pescate sulla tastiera delle diverse specialità.
Equilibri e incastri per un sistema di potere che fatica a rinnovarsi e non riesce a colmare gap sempre più grandi. È paradossale ma i medici hanno collezionato negli ultimi mesi applausi e standing ovation per il loro impegno sulla prima linea del Covid. Poi, però, si scopre che mortificazioni e delusioni formano un cahier de doléance sempre più corposo. Ogni anno, per dare un dato, 90 mila italiani fanno causa ai professionisti della salute chiedendo un risarcimento a fronte di presunti errori, in più di un caso davvero presunti. Ma gli Ordini, lamentano i dottori, spesso e volentieri fanno da megafono alle istanze degli utenti arrabbiati, buttando sotto i tacchi dignità e decoro.
Insomma, la tenaglia del fisco e del contenzioso stringe sempre di più il camice bianco, spesso appiattito in una routine sfiancante. E la «testa» di governo esprime solo riflessi burocratici e corporativi, senza contrastare le cause del malessere o, peggio, del declino.
In questo clima si potrebbe pensare che le elezioni per gli Ordini - a Milano previste per il week end - siano l'occasione di un confronto aspro che coinvolge circa 400 mila operatori e potrebbe avere ricadute importanti sulla vita del Paese. Invece, sorpresa, si arriva all'appuntamento alle urne fra assuefazione e tassi di partecipazione bassissimi. Quasi omeopatici. I medici lavorano e snobbano la competizione. A Milano, con un bacino di 24 mila professionisti, due liste - Noi medici e Impegno medico - coagulano l'opposizione e il malcontento nei confronti di Riscatto medico, il rassemblement sul ponte di comando da quaranta e passa anni. Da troppo tempo, secondo i critici che provano a dare una spallata al gruppo egemone. Altrove i risultati sono già usciti.
È difficile non
avvertire gli scricchiolii. Per qualcuno siamo alla vigilia di un cambiamento. Molti pensano invece che tutto rimarrà come prima. L'elite con i suoi privilegi, gli altri sui binari stretti di una quotidianità sempre più faticosa.
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