Quelli che sul palco perdono la realtà

Doveva essere una manifestazione per la pace, ma ha finito per prendersela pesantemente con un Presidente (Trump) che, a modo suo, sta cercando di ottenerla

Quelli che sul palco perdono la realtà
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Doveva essere una manifestazione di orgoglio europeo, aperta a tutti. In piazza forse lo è stata, effettivamente c'era di tutto. Ma sul palco si è trasformata in qualcosa di trito e ritrito: il solito attacco frontale alla destra italiana, europea e statunitense. E, non ce ne voglia chi era in piazza, ma il palco conta, perché dà il senso politico della manifestazione. Doveva essere una manifestazione per la pace, ma ha finito per prendersela pesantemente con un Presidente (Trump) che, a modo suo, sta cercando di ottenerla, ignorando del tutto chi (Putin), tre anni fa, ha invaso uno Stato sovrano e continua a rifiutare ogni accordo per fermare il conflitto. Forse perché la pace, in realtà, a lui non interessa. Insomma, la parte di denuncia, la pars destruens, ha puntato il dito contro i soliti nemici ideologici della sinistra: Trump, i nazionalismi, il fascismo, dimenticandosi di aggressori e aggrediti, dell'Occidente e dei suoi nemici.

Ma, se possibile, la parte di proposta, la pars costruens, è riuscita a fare anche peggio, rimanendo intrappolata tra due utopie: una demagogica e l'altra «demo-allergica», potremmo dire, cioè ostile alla stessa idea di democrazia. Partiamo da quest'ultima. È lecito immaginare un'Europa federale, certo. Ma pensare di realizzare gli Stati Uniti d'Europa in questo momento storico, mentre la destra eurocritica e patriottica cresce ovunque, è un esercizio di pura fantasia. A meno che non si pensi di imporre questo disegno dall'alto, ignorando la volontà popolare e lo «spirito del tempo», con quel costruttivismo elitario tanto caro a chi si professa unico interprete della democrazia, salvo poi rifiutare il responso delle urne perché «il popolo non capisce».

Poi c'è l'altra parola d'ordine: la pace. Un concetto che alcuni, anche su quel palco, stanno cercando di monopolizzare, etichettando come «bellicisti» tutti coloro che sostengono il riarmo europeo. E per rafforzare questa narrazione demagogica e dicotomica, immancabile arriva il richiamo alla Costituzione, puntualmente piegata alle proprie convinzioni: «L'Italia ripudia la guerra». Certo, l'articolo 11 della nostra carta fondamentale dice questo, ma volendo essere corretti e rispettosi delle scelte dei padri costituenti bisognerebbe leggerla tutta la frase: «L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli». La differenza è sostanziale. Ripudiamo la guerra di aggressione, non certo quella di difesa. E difenderci è esattamente ciò che intende fare l'Unione Europea con il piano ReArm Europe. Si sta solo prendendo atto di una realtà evidente: abbiamo un vicino, a Est, che non ripudia affatto la guerra come strumento di offesa, e un alleato, a Ovest, sempre meno disposto a farci da scudo, come è accaduto negli ultimi ottant'anni. Certo, la formula scelta dalla Commissione Ue non aiuta, perché parlare esplicitamente di riarmo agita l'opinione pubblica ed evoca scenari di guerra. Ma nei fatti, è vero il contrario. Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace, prepara la guerra: solo la deterrenza può fermare la volontà di potenza di Putin, l'innominato ahimè di Piazza del Popolo.

Dire, invece, di volere la pace senza prepararsi a difenderla genera l'effetto opposto. Ossia, come avrebbe detto Napoleone: si vis bellum, para pacem: promuovi la pace, abbassa le difese dei tuoi avversari e potrai vincere ogni guerra. C'è da scommettere che a Mosca qualcuno avrà apprezzato.

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