Ieri La Stampa ha riservato un inserto al 70° anniversario della Liberazione, 25 aprile. Roba seria, tranne l'ultima pagina, involontariamente comica. Titolone: «Viva la Resistenza!». I testi sono un inno ai partigiani, ma scompaiono accanto alla raffigurazione centrale: una bottiglia di vino Borgogno, bevibile nei ristorantini di Eataly al prezzo di euro cinque al calice.
Che c'entra il vino con la Resistenza? Il business non conosce vergogna né limiti di buon gusto: procede imperterrito con sprezzo del ridicolo. Non siamo indignati, bensì ammirati, dai prodigi del marketing italiota, buono a nulla e capace di tutto. Siamo convinti che il vino sia più prezioso, oggidì, della retorica resistenziale, se non altro perché concorre a tenere alta la reputazione nazionale, minata dal conformismo sinistro perdurante nel nostro Paese ancora ciucco di ideologie, ahimé stantie.
In vino veritas , comunque, per cui lodiamo chi ne produce di squisito e lo diffonde facendosi onore. Onore di cui tutti noi godiamo il riflesso, specialmente alla vigilia dell'Expo, esposizione dedicata a ciò che delizia il palato. La notizia che allieta è che per il secondo anno consecutivo la medaglia d'oro di Vinitaly, manifestazione enologica di primo livello, è stata assegnata alla famiglia Testa di Carobbio Degli Angeli (Bergamo), la cui storia merita di essere raccontata perché emblematica del progresso femminile in un campo tradizionalmente maschile.
L'azienda premiata infatti è condotta da quattro donne - peraltro avvenenti, come certifica la fotografia a corredo del presente articolo - che tollerano l'intromissione negli affari di un solo uomo, Francesco, il quale dà una mano, la sinistra, essendo la destra occupata dalla mazza da golf, sport nel quale il ragazzo è un campione, tra i cinque migliori italiani. Nel 2014 fu premiato (gradino più alto del podio), tra migliaia di concorrenti, l'Extrabrut degli Angeli; nel 2015, la casa vinicola si è aggiudicata eguale primato con il semplice Brut degli Angeli, un nettare analogo ma leggermente diverso per sapore, profumo e trattamento. Non succede spesso che la medesima azienda si aggiudichi un riconoscimento tanto importante due volte di seguito, realizzando una doppietta che suscita ammirazione e forse una punta di invidia nella totalità degli operatori del settore. È un piccolo miracolo che diventa grande se si considera che è stato compiuto da quattro gentili signore, madre e tre figlie, tutte maritate, che hanno escluso i coniugi - impegnati in altre professioni - dall'attività.
Quattro stupende creature che lavorano da mane a notte dividendosi gli incarichi sulla base del buon senso, oltre che delle necessità, in modo che la macchina della ditta funzioni perfettamente. Il segreto di tale efficiente organizzazione sta nella voglia matta di fare bella figura e di anteporre la sacralità della cantina - elevata al rango di cattedrale - ai meschini interessi carrieristici. Di norma un'impresa familiare, finché il fondatore è in vita e la dirige con criteri padronali (dittatoriali) fila liscia; quando questi muore e subentrano i figli, ciascuno dei quali desidera mostrarsi più bravo degli altri e sedersi sulla poltrona più imponente, comincia il disastro e il fallimento si profila all'orizzonte.
Ovvio, i personalismi incrementano le rivalità e accendono le liti: l'interesse comune scende in secondo piano e buona notte al secchio. Abbiamo visto centinaia di società sfarinarsi per questi motivi, una costante nel sistema patrio cosiddetto familiare.
Le signore Testa - un cognome non usurpato - trovarono nella disperazione, causata dal decesso del capostipite, Pierangelo, marito di Manuela e padre di Laura, Roberta e Maria, l'armonia indispensabile per mandare avanti e completare il progetto dell'uomo prematuramente scomparso. Tramutando il dolore in una sorta di dovere morale di continuare nell'opera iniziata dal caro estinto, si sono strette (dopo laurea regolamentare) in un sodalizio cementato dalla grinta, e i risultati sono lì da assaporare: un vino di qualità superiore, al punto da esser insignito delle massime onorificenze. Una bella soddisfazione.
Alla quale se ne aggiunge una seconda: lo sviluppo di un'altra azienda di medie dimensioni, che si occupa di prodotti in cemento per vari usi (destinati non solo all'edilizia), con annesso supermercato di utensili vari. Anche in questo ramo così lontano dal brut e dall'aceto balsamico (già, non manca neppure quello), le quattro splendide ed eleganti imprenditrici dominano e si assicurano un posto di eccellenza.
La loro vicenda si completa col restauro di gran parte del borgo medievale di Carobbio degli Angeli, avvenuto nel rispetto dell'architettura originaria, e restituito all'antico fascino. Un luogo incantevole alle pendici delle Prealpi orobiche che era dimenticato da Dio e dagli uomini e che ora, sarà anche per via delle bollicine, rientra negli itinerari di chi ama il buon vino e i paesaggi raffinati.
Un'ultima annotazione a proposito della riscossa femminile nel campo della «civiltà del bere». Un'altra signora bergamasca, Marta Mondonico, da tempo una stella del vino, è salita agli altari. La scorsa settimana il suo Cabernet Sauvignon Le Mojole ha conquistato, in Ungheria, la quarta medaglia d'oro internazionale.
Ormai
chi dice vino dice donna. Le pari opportunità sono garantite: se la botte è piena, ringraziamo le femmine; a noi maschi non rimane che brindare alla loro salute. E alla nostra. Altro che Resistenza: questa sì è Liberazione.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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