La Cina sta invecchiando e il Partito rinnega la legge del figlio unico

Scarseggia la manodopera per le fabbriche. Il governo corre ai ripari e concede due bambini per coppia

Il rischio della Cina era di ritrovarsi vecchia e decrepita prima di esser diventata sufficientemente ricca da garantirsi la pensione. Nessuno, però, sa ancora dire se a salvarla dal precoce invecchiamento e dal successivo decadimento economico, basterà la rimozione di quel tumore socio-politico chiamato «legge del figlio unico». «Per promuovere una bilanciata crescita della popolazione - annunciava ieri un comunicato del Comitato Centrale del Partito Comunista - la Cina risponderà all'invecchiamento della popolazione mettendo in atto la politica di una coppia e due figli». Pechino, insomma, raddoppia e concede due figli ad ogni famiglia rettificando, dopo 35 anni d'inflessibile pianificazione familiare, la regola che ammetteva, salvo eccezioni nelle zone rurali, un solo e unico figlio per coppia. L'abolizione della norma, già attenuata nel 2013, non cancella però il retroscena di orrori causati nell'ultimo trentennio. Per afferrare la disumana mostruosità della pianificazione familiare decisa nel 1980 al fine di arrestare un incremento demografico fuori controllo basta leggere le statistiche sugli aborti. In ossequio alla legge totem della demografia post maoista venivano sacrificati 13 milioni di feti all'anno, per un totale di 336 milioni di aborti dal 1971 ad oggi. Dietro le aride cifre si nasconde anche la raccapricciante pratica delle interruzioni di nascita fino all'ottavo mese e 196 milioni di sterilizzazioni di massa imposte spesso con la forza. Se questo è il tragico passato generato da una legislazione contraria a qualsiasi legge umana e naturale il presente ed il futuro rischiano di essere anche peggiori. Per capirlo basta considerare le recenti, ed apparentemente incomprensibili, fibrillazioni di un'economia e una finanza cinese considerate, fino a pochi anni fa, in piena ed inarrestabile espansione. Quelle fibrillazioni hanno costretto Pechino a rivedere le previsioni di crescita e a spostarle sotto la fatidica soglia del 7 per cento. Dietro il risicato, ma secondo molti analisti già eccessivo 6,9% di crescita prevista per l'anno in corso si nascondono proprio le nefaste conseguenze socio economiche della legge del figlio unico. La prima e più evidente è la scarsità di manodopera da impiegare nell'industria. Nel 2014 la forza lavoro cinese è calata per il terzo anno consecutivo riducendosi a 916 milioni di unità e sottraendo alla produzione 3,7 milioni di braccia. Un dato destinato - secondo le proiezioni Onu - a peggiorare esponenzialmente almeno fino al 2030 quando Pechino dovrà far i conti con una perdita complessiva di 67 milioni di lavoratori. Questo perché le regole imposte per 35 anni hanno determinato un progressivo e sostanziale invecchiamento della popolazione. Così nel 2030, sempre stando alle statistiche Onu, circa 400 milioni di cinesi, quasi un quarto della popolazione di allora, supererà i 60 anni mentre un settimo sarà addirittura ultrasettantenne. A quel punto il mantenimento dell'enorme massa di anziani peserà su una forza lavoro già insufficiente a far girare la macchina dell'economia. E del resto la scarsità di forze produttive è già oggi una delle cause del drastico aumento del costo del lavoro registrato in Cina. La legge della domanda e dell'offerta, come ben sanno le aziende italiane che delocalizzano da quelle parti, ha inevitabilmente fatto crescere il costo della manodopera rendendola spesso inadeguato alla qualità espressa in termini produttivi. Ecco perché oggi molte aziende stanno velocemente abbandonando la Cina.

Ed ecco perché la vecchia gerarchia del partito comunista teme la rabbia di una popolazione a cui presto o tardi dovrà spiegare che la «grande marcia» verso il benessere si sta arrestando. Perché storture ed errori del passato non hanno soltanto frenato la crescita demografica, ma anche trasformato la Cina in un inaffidabile ed instabile gigante dai piedi d'argilla.

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