Se ne va, dopo nove anni, perché non ce la fa proprio più, perché ha «toccato con mano come l'età comporti crescenti limitazioni e difficoltà», perché non può «sottovalutare i segni dell'affaticamento e le incognite che essi racchiudono». Ma in qualche maniera Giorgio Napolitano resta al suo posto, o quantomeno lascia la sua impronta, indicando al nuovo presidente il lavoro da finire. Manca solo il nome, il resto c'è tutto. «Chi presto mi succederà», spiega infatti il capo dello Stato a tredici milioni di italiani intenti ad attaccare il cotechino, ha già i compiti da svolgere, ha un binario da seguire: rinnovare il Paese attraverso le riforme che il governo sta varando, battere la corruzione «bonificando il sottosuolo marcio della società», praticare al paziente Italia una terapia di autostima. L'obbiettivo è il rilancio, un nuovo dopoguerra. Napolitano parla per ventidue minuti. Non dei marò, come sperava La Russa, né degli immigrati clandestini, come voleva Salvini, e nemmeno della caduta del governo Berlusconi, come chiedeva Brunetta. Certo, nell'ultimo discorso di Capodanno c'è un po' di autocritica, perché «gli interventi pubblici messi in atto stentano a produrre effetti decisivi per alleviare il peso delle ristrettezze e delle nuove povertà», perché «la disoccupazione giovanile dilaga», e perché «nemmeno nell'anno che si chiude siamo riusciti a risollevarci dalla crisi in cui siamo precipitati».
Ma il bilancio finale, secondo il capo dello Stato, nonostante i flop di Monti e Letta e il fallimento delle larghe intese, è positivo. «L'aver tenuto in piedi una legislatura aperta quasi due anni fa è di per sé un risultato importante. Si è in sostanza evitato di confermare quell'immagine di un'Italia instabile che tanto ci penalizza e si è messo in moto l'indispensabile processo di cambiamento». E proprio questo, dal suo punto di vista, è il lascito più importante. «Spero di poter vedere nel 2014 almeno iniziata un'incisiva riforma delle istituzioni repubblicane, così avevo detto un anno fa. Ebbene, è innegabile che quell'auspicio si sia realizzato». Il percorso «va concluso». Fine del bicameralismo paritario, revisione del rapporto tra Stato e Regioni, una nuova legge elettorale. Sono le pre-condizioni necessarie per rivoltare il Paese. E qui si vede il livello di sintonia raggiunto con Matteo Renzi, dopo un inizio incerto, si capisce come il premier fiorentino, considerato alla stregua dell'ultima speranza, sia l'eredità politica lasciata da Napolitano. «Nel semestre l'Italia si è battuta per un cambiamento delle politiche dell'Unione che accordi la priorità a un rilancio delle economie. Tra breve il presidente del Consiglio tirerà le somme dell'azione critica e propositiva svolta a Bruxelles». La data è il 13 gennaio, Dopo, ogni giorno sarà buono per formalizzare le dimissioni.
Napolitano è costretto da i suoi novant'anni a mollare, ma spera che il futuro capo dello Stato non cambi la rotta. «Di strada ne abbiamo comunque percorsa dal 2006. Ho fatto del mio meglio in questi anni travagliati per rappresentare e rafforzare l'unità nazionale, per sanare le ferite che aveva ricevuto». E questo «è il solo modo per andare avanti e affrontare le gravi patologie di cui il Paese soffre», a cominciare da criminalità e corruzione. Ma ora, dopo con il suo bis al Quirinale si era aperta una finestra per tempi eccezionali, è arrivato il momento di tornare alla normalità. Napolitano resta convinto «che la disponibilità richiestami nell'aprile 2013 sia risultata un passaggio determinante per dare un governo all'Italia e favorire un rapporto più costruttivo tra opposti schieramenti politici». Però adesso, dice, «è positivo che si torni alla regolarità dei tempi di vita delle istituzioni». Dunque, missione fiducia. «Il cammino del nostro Paese in Europa e quello della politica in Italia lo determineremo tutti noi, con i comportamenti, le prese di coscienza, le scelte.
Più si diffonderanno senso di responsabilità e senso del dovere, senso della legge, della Costituzione e della Nazione, più si potrà ricreare quel clima di mobilitazione collettiva che animo la ricostruzione postbellica». In questo quadro pure il Parlamento, quando si tratterà di scegliere il prossimo presidente, «dovrà dare una prova di maturità e responsabilità».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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